Il Canale della Pellerina
Dalla presa della Pellerina ai molini del Martinetto
Online dal: 22-03-2018
Ultimo aggiornamento: 15-10-2024
Il canale della Pellerina costituiva il primo tratto della grande derivazione che introduceva l’acqua della Dora Riparia in Torino e dava movimento alle ruote idrauliche dei suoi maggiori opifici. Esso traeva origine dallo sbarramento della Pellerina e raggiugeva il Martinetto. Le funzioni che le erano proprie erano limitate all'irrigazione. Oggi la traversa della Pellerina ha trovato nuovo impiego a vantaggio di una piccola centrale idroelettrica.
La pagina è oggetto di una revisione di lungo periodo. Il lavoro inizia con la storia del canale, che purtroppo al momento si raccorda con qualche difficoltà alla stesura precedente, in particolare per la numerazione delle note, ma non solo.
Il canale della Pellerina oggi.
Sono indicati in turchese i tratti del canale coperti e in blu quelli rimasti a cielo aperto.
1. La storia
I documenti d’archivio a nostra disposizione non consentono di datare con certezza l’origine del canale della Pellerina. Le prime attestazioni del nome non indicano un corso d’acqua o un territorio, bensì una ‘bicocha’, ossia una struttura sopraelevata di guardia e osservazione, posta a sorveglianza di un guado sulla Dora. (1.1) È probabile che il presidio fosse collegato alla 'strada Pellegrina', o 'Pelerina', un percorso locale utilizzato nel Medioevo dai pellegrini provenienti da Oltralpe in viaggio verso Roma e la Terrasanta, alternativo alla via Romea, la rotta principale. In seguito il toponimo 'Pellerina' sarà esteso alla traversa e al canale più importanti del sistema idraulico torinese, a una cascina, e oggi al più grande parco pubblico cittadino.
La prima attestazione della ‘bicocha’ e del ‘vado Pelerine’ risale al 1343, ma le loro origini sono sicuramente più remote, così come quelle della "ficha et beallerie Pellerine", citate per la prima volta nei verbali del Consiglio municipale di Torino nel 1366. Il canale della Pellerina corrisponde idealmente, nelle funzioni e almeno in linea di massima nel tracciato, alla bealera Colleasca, la più antica derivazione torinese. Pur senza fornire prove documentarie certe, in passato la Città, ha ipotizzato che lo scavo di questa bealera fosse anteriore alla metà del XIII secolo, quando Torino passò sotto il dominio dei Conti di Savoia, e forse addirittura precedente ai diplomi imperiali del XII secolo. (1.2)
Nel Seicento
La prima rappresentazione della bealera della Pellerina corrisponde a un disegno tracciato da mano ignota nella prima metà del XVII secolo, che costituisce la più antica mappatura delle canalizzazioni torinesi.
La mappa, anonima e archiviata quale "Disegno dimostrativo del corso delle acque della Dora con la chiusa di Pellerina". L'incerta proporzionalità non consente di ricavare misurazioni troppo attendibili (ad esempio l'ampiezza del canale risulta pari a quella del fiume e quindi e chiaramente fuori scala) tuttavia non deve trarre in inganno: le descrizioni della rete idraulica e del territorio sono assai attendibili e conferiscono grande valore al documento. Non vi compaiono i mulini del Martinetto, trasferiti nell'area in esame solo nel primo Settecento, mentre il "Martinetto da ferro" è quello concesso al "ferraro" Giò Battista Merlino nel 1608. La sua presenza aiuta a datare il disegno, attribuibile al periodo compreso tra la il 1608 e il 1640, poiché l'opificio andrà distrutto dai fatti d'arme della cosiddetta "guerra dei cognati".
Fonte: ASCT, CS 1977 (particolare)
Il canale della Pellerina, la ficca che sbarra la Dora Riparia e l'assoradore (scaricatore) sono collocati sul margine destro del foglio. I quattro bocchetti che dalla sponda sinistra della derivazione alimentano una trama di fossi testimoniano la diffusione capillare dell'irrigazione nella campagna che digrada verso il fiume. Già nel XVII secolo, la regolare cura «degli inversori e della ficca e bealera della Pellerina» era affidata ad un addetto stipendiato dalla Città, (1.2a) mentre gli interventi straordinari e le riparazioni rese necessarie dagli eventi naturali, quali le frequenti alluvioni, erano deliberate di volta in volta dalla Congregazione cittadina.
Sul ponte che scavalca il canale vicino alla cascina Lesna (poi Morozzo) transita la strada, diretta a un insediamento indicato Madis Cauda, che oltre il ponte stesso prende il nome di strada del Cou. Il toponimo Cou, oggi criptico e dimenticato, sembra ricondurre alla regione detta Choo (o anche Coo), corrispondente all'estremo lembo occidentale del territorio torinese, al confine con Collegno. Nel tratto prima del ponte, la strada è segnata quale strada della Colleasca, indicando presumibilmente una diramazione della via che, in sponda destra e parallela al fiume, univa Torino a Collegno. Il toponimo Madis Cauda riconduce alla famiglia de Madio, attestata tra i proprietari terrieri dell'Oltredora almeno fin dalla metà del Quattrocento. L'insediamento in questione pare coincidere con il "vicus e castrum sine munitione murorum", ossia al villaggio rurale non fortificato posseduto dai de Madio. La presenza in loco di beni de «li eredi di Bernardo alcou» e de «li eredi del Signor Francesco Madis alcou» è coerente con il quadro descritto. (1.2b) Questi toponimi, in ogni caso, scompaiono dei secoli successivi. Al ponte termina anche la carrabile proveniente da Torino costeggiando il canale. Le opere di presa della Pellerina, si può presumere, siano raggiunte da un camminamento secondario non indicato nel disegno.
La strada ed il ponte del Cou conducono ad un insediamento detto Madis Cauda. Di entrambi si perde traccia nei secoli successivi.
Le cascine riportate in mappa hanno nomi arcaici e perduti. Tra il canale il fiume, la Bergognino e la Rondani non sembrano trovare riscontro nella cartografia successiva, mentre quella in prossimità del fiume corrisponde all’attuale cascina Marchesa. E’ più facile invece riconoscere i casali che, come indicato nella figura qui sotto, si affacciano sul limitare del declivio che scende verso il canale e il fiume.
Le cinque cascine sul limitare del terrazzo fluviale sono facilmente identificabili: la Lesna, in prossimità del ponte del Cou, con la cascina Morozzo, la Salomea con il Gibellino, la Fusilli con la Calcaterra, la Cuneo con l’Anselmetti, e la Spadaro con la Demora, in prossimità della quale, dopo il1707, saranno trasferiti i molini del Martinetto.
Per forza di cose, le virtù cartografiche del disegno sono limitate e non forniscono molte informazioni sulle strutture idrauliche. Qualche notizia in più la si ottiene dalla relazione stilata dal senatore e conte Camillo Luigi Richelmi nel 1691. (*) Secondo il documento, l'alveo del fiume Dora «nel sito in cui vi resta tutto al traverso» è sbarrato da «una gran ficca denominata la Pellerina». A causa della grave siccità tutta l’acqua «che discorre nella parte superiore ad essa ficca resta ritenuta dalla medesima et introdotta nell’Alveo d’una beallera che discorre in attinenza della ripa di detto fiume verso ponente che serve per il Mollino detto del Martinetto, com’anche per il servizio della Città e Canale di Torino, et adaquamento de prati di Vanchiglia, et altri del territorio». Dello scarigadore è descritto il «gran bochetto con quattro porte» che si trova «in poca distanza inferiormente dalla detta ficca nella ripa inferiore della predetta beallera», la cui acqua «ricade in un alveo inferiore e rientra sotto detta ficca nel fiume». In seguito a una misurazione effettuata poco oltre lo scaricatore, dove il canale ha una pendenza significativa, l’acqua risulta profonda quattordici once (circa 60 cm) e l'alveo largo un trabucco e due piedi (4,5 metri circa). Il documento è più laconico nella descrizione del canale, nella cui ripa inferiore, sottolinea, si aprono i bocchetti per «l’irrigamento de prati et uso de beni e Cassine site inferiormente nella reggione di Valdoc», al tempo però intesa come l'intero spazio tra la Pellerina e Porta Palazzo, indicando espressamente quelli della Eccellentissima Signora Marchesa di San Germano e degli eredi del fù Conte Valperga.
(*) ASCT, CS 2000, Atti di visita della Dora, e Testimoniali di stato delle beallere che dalla medesima
si derivano sottoscritti dal Signor Conte Camillo Luiggi Richelmi, del 14 maggio 1691.
Aggiunto 08-07-2022
Nel Settecento
All’inizio del Settecento il trasferimento dei molini del Martinetto nella nuova sede si accompagna a un primo potenziamento del canale della Pellerina. Ma la ristrutturazione più importante avviene nel 1728-29, quando la bealera dei molini del Martinetto viene allacciata a quella della Polveriera: l’acqua della Pellerina raggiunge gli opifici militari e i molini di Valdocco e borgo Dora creando il Gran canale dei molini, ossia il nuovo asse portante del sistema idraulico cittadino. In tale frangente la ficca e le opere di presa vengono completamente riprogettate e ricostruite, e l'alveo allargato, per soddisfare la maggior portata richiesta dalle nuove funzioni. Le Testimoniali di visita e misurazione stilate nel 1748 (1.3) forniscono una dettagliata descrizione del canale dopo tali lavori. Esse sono redatte durante una ricognizione sul campo compiuta nel contesto della lunga causa che oppone la Città di Torino ai proprietari dei terreni coinvolti nella ristrutturazione che lamentano i danni subiti e il mancato indennizzo. La documentazione relativa alla contesa comprende due preziose mappe redatte dall’ing. Carlo Antonio Bussi che, datate rispettivamente 6 settembre 1748 e 27 gennaio 1749, descrivono con dovizia di particolari un’ampia parte del territorio fuori la porta Susina, dalla Pellerina a Valdocco e borgo Dora. Il secondo disegno perfeziona il primo sulla scorta del sopralluogo effettuato ed è quindi il più attendibile. (1.4)
"Tipo dimostrativo del corso della Bealera del Martinetto, e sue diramazioni" dell'ing. Carlo Antonio Bussi, datato 27 gennaio 1749. Il particolare riprodotto mostra lo spazio delimitato dalla strada di Collegno a sud, dalla traversa della Pellerina ad ovest, dalla Dora a nord e dal polo del Martinetto ad est. Oltre al tracciato e alle opere di presa del canale, sono ben riconoscibili in mappa vie di comunicazione e cascine.
Fonte: ASCT, CS 2055 (particolare)
I mulini e gli opifici idraulici del Martinetto costituiscono ora il nucleo territoriale e il crocevia di maggior rilievo. Da essi transita la carreggiabile che proviene da Torino la quale, costeggiando il canale per tutta la sua lunghezza, conduce ai coltivi verso il fiume e permette la sorveglianza e la manutenzione dell’alveo e delle opere di presa. (1.5) Sempre dal Martinetto si dipartono due vie dirette verso possibili guadi e l’Oltredora. Le altre strade che giungono dalla porta Susina, e dalla città, si diramano da quella di Collegno: la prima raggiunge i molini, la seconda i casali sul ciglio del terrazzo fluviale, mentre la terza dal bivio di San Rocchetto (1.6) scende verso la Dora e pare coincidere alla seicentesca strada del Cou. Tre ponticelli collegano queste strade a quella lungo il canale.
Il disegno mostra una campagna ben coltivata, in cui campi lavorati e prati si susseguono ordinatamente, e il canale della Pellerina scorre ai piedi della scarpata che scende dal terrazzo fluviale verso le basse di Dora. Sul ciglio spiccano a breve distanza l'una dall'altra le cascine Morozzo, Gibelini (Gibellino), Calcaterra e Anselmetto (Anselmetti). Tra il canale e il fiume si distinguono la cascina dei fratelli Brunetti (più tardi Polar) e quella del Capitolo Metropolitano (al tempo però anch’essa del cavalier Calcaterra e oggi conosciuta quale cascina Marchesa) mentre delle altre presenti nella mappa seicentesca paiono perdersi le tracce.
Fonte: ASCT, CS 2055 (particolare)
UNITA' DI MISURA PIEMONTESI PRIMA DEL 1818
Secondo i campioni depositati presso la Regia Camera dei Conti di Torino, le principali misure di lunghezza in uso in Piemonte erano:
-
Il TRABUCCO, che equivalente a 3,083 metri, si divideva in 6 piedi liprandi.
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Il PIEDE liprando, che equivalente a 0,51378 metri, si divideva in 12 oncie.
-
L'ONCIA, che equivalente a 4,88 cm, si divideva in 12 punti ed ogni punto a sua volta in 12 atomi.
Nelle Testimoniali ampiamente citate di seguito, l'unità di misura principale, il trabucco, è spesso separata da i sotto-multipli con il segno dei due punti (:) e quindi, ad esempio, la distanza 1:2:3 si leggerà un trabucco, due piedi e tre oncie.
Opere di presa del canale della Pellerina: (1) Ficca denominata Pellerina; (2) Imbocco della bealera; (3) Alveo successivo della bealera; (4) Ripa sinistra "munita di passoni (pali) ed assate"; (5) "Fabricha" dello scaricatore; (6) Alveo dello stesso; (7) Sito gerbido; (8) "Fabricha" della balconera del canale.
Fonte: ASCT, CS 2055 (particolare)
La traversa della Pellerina. La traversa settecentesca si trovava già nella posizione attuale, nel gomito disegnato dalla Dora al fondo di corso Appio Claudio. L’opera è rimarchevole; per una metà è composta da undici ordini di pali e per l’altra da tredici: un numero più che doppio rispetto ad altre strutture analoghe del tempo.
Le Testimoniali del 1748 collocano la traversa della Pellerina dove «il fiume Dora decorre da ponente a levante al piede d’una gran rippa imboschita che si trova alla destra della medesima; indi risvolta verso mezzanotte, ed in questo sitto del risvolto vi è una gran ficha attraversante tutto l’alveo di detto fiume».
L’imbocco del canale. Alla sinistra della traversa vi è l'imbocco del canale «formato da due spalle composte di grossi passoni [pali], travi ed assette, fra quali spalle vi è l’apertura dell’imbocho»; davanti d esso sei travi sovrapposte, collocate trasversalmente «in forma di brida» e sfiorate dalla corrente, impediscono «la soverchia introduzione d'acqua». Due «gran speroni formano da spalla, et al fiume Dora, et all’alveo della Beallera», mentre ulteriori file di pali dirigono le acque del fiume verso la captazione. Subito dopo «inizia la bealera detta Pellerina, ossia Colleasca». Tutte le opere di presa sono state rifatte nel 1728-29. Lo sbarramento antecedente era più semplice e costituito da una minor numero di pali riempiti con assi, pietre, fascine e con rinforzi di ghiaia alla base. Le altre strutture sono state aggiunte con la ristrutturazione e in luogo della brida, le acque grosse di piene e alluvioni erano contenute da pali di modeste dimensioni, sopra cui poggiava «un picol trave non più longo d’un trabucho» su cui era possibile il passaggio.
Le altre opere di presa. Lo scaricatore e la balconera di ingresso completano le opere di presa. Anch'essi sono stati completamente rifatti con l'ampliamento del 1728-29, e sono raggiunti sia dalla strada che corre sulla sommità della sponda sinistra, sia da un sentiero che dal piano superiore scende verso la sponda destra del canale.
Lo scaricatore è posto a 24 trabucchi dall’imbocco, sulla sponda sinistra del canale. Esso è «formato in fabricha con mattoni in calcina e coperto con grande arcone di cotto, pure fatto in fabricha»; le strutture di controllo, rivolte verso il canale, sono costituite da «grossi travi infissi nelle spalle delle muraglie e nel fondo, con cinque gran porte, con due torni caduna fermati con grossi anelli di ferro e catene per alzare dette cinque porte quando occorre di levar l'acqua dalla Beallera o di scaricarla. [...] La fabbrica di detto scaricatore è di longhezza trab. 2:5:10 et di larghezza trab. 1:1, chiusa con due seraglie d'albera munite di serrature, chiave, et una anche di serragli; le chiavi delle qual porte si ritengono dal molinaro del Martinetto». Bussoni (siepi), cespugli e radici d'albera si protendono nel canale e ne rallentano il fluire. Lo scaricatore è lungo 86 trabucchi, largo 3 trabucchi e mezzo, con sponde alte circa 5 piedi. La riva destra del fiume, quella sinistra del canale e lo scaricatore delimitano «un piccol sitto gerbido formante una specie di triangolo» di circa due giornate e mezzo di superficie «con diversi cespugli, e poche piante d'albera ancora piccole». (1.7)
A 2:5:6 trabucchi dallo scaricatore, la fabricha della balconera, ortogonale al canale, regola il volume d'acqua immesso. Essa è formata «di mattoni in calcina, e pietre tagliate, col pilastro di mezzo fondato nell'alveo della Beallera, coperta di coppi, di larghezza trab. 1:4:10, e di longhezza trab. 2:4:3, chiusa con due seraglie d'albera»; le chiavi sono affidate anche in questo caso al mugnaio del Martinetto. All'interno vi sono «due balconere, con travi, e colonne infisse nelle muraglie laterali, e pilastro di mezzo» dotate di «due porte, caduna con suoi torni e catene; avanti ad esse vi sono due bride che si protendono sino al pelo dell'acqua della bealera» per moderare la velocità del flusso e limitare le erosioni. Tra lo scaricatore e la balconera, la sponda sinistra del canale «resta dalla parte interna formata di muraglia in calcina e si unisce colle muraglie delle suddette due fabriche». In sponda destra la corrente è rallentata da una «vallanca [smottamento], ramaglie, bussoni e radici».
Il canale. Dalla balconera d’ingresso fino ai molini del Martinetto, il canale della Pellerina si snoda per quasi 600 trabucchi serpeggiando ai piedi della scarpata coperta di cespugli che dal terrazzo fluviale digrada verso le basse di Dora. Le strutture più rilevanti lungo il trac-ciato sono i ponti delle strade poderali e i bocchetti, ossia le prese, dei fossi che irrigano la campagna sottostante. I ponti, ad un solo arco e con muretti di sponda, sono in muraglia di calcina; i bocchetti hanno un'architettura elementare e comune:
Il tratto scoperto lungo corso Appio Claudio conserva la morfologia originaria del canale: la sponda destra, più alta, a ridosso del pendio che digrada dal terrazzo fluviale, quella sinistra, più bassa, rivolta verso la campagna e il fiume.
un rivestimento di mattoni in calcina protegge l'interno del canale a monte e a valle dell’apertura; negli incastri ricavati nelle spalle è collocata la paratoia mobile che immette l’acqua nel fosso irriguo perpendicolare all'alveo principale, che la strada lungo la ripa scavalca con un ponticello di semplice fattura.
All'inizio il canale scorre parecchio incassato; «la ripa sinistra molto più alta del piano con inclinazione, o sia scarpa, verso detto piano, che misurata si è trovata d'oncie 42 accomunate, e principiando dalla sua sommità sino al fine di detta scarpa è di misura accomunata trab. 2:5». La coltivazione del grano si spinge fin quasi alla sommità della sponda, su cui passa un sentiero; verso l'interno essa è ricoperta di cespugli e sormonta la superficie del canale per 1:1 trabucchi.
La sponda sinistra del canale si affaccia, nell'or-dine, sui terreni del cava-lier Calcaterra (già del Ca-pitolo Metropolitano), della Cura di Pozzo Strada, dei fratelli Brunetti, della Commenda di Malta e del cavalier Morozzo. Si notino i fossi irrigui che, alimen-tati dalle bealere del pian-alto, scolano nel canale sottostante rinforzandone la portata.
Il canale guadagna lentamente quota man mano che avanza. La sponda sinistra risulta «d'altezza dal pelo dell'acqua piedi due liprandi, larghezza trabuchi uno, e di maggior altezza dal piano dei beni laterali di piedi due e mezzo». La sommità è larga un trabucco «e in mezzo d'essa si vede continuare una carreggiata battuta». Sui entrambi i versanti crescono salici e morroni [gelsi] e «per l'estenzione di trabuchi 4:2 è sostenuta da palificate, et assate, con un altro ordine dietro, a quali sono infisse e chiodate radici, quali oltrepassano per metà il piano».
Il primo bocchetto. Il primo bocchetto irriguo (n° 13 in mappa) si incontra a 60:3 trabucchi dall'inizio del canale. «La ripa sinistra [...] con due muraglie laterali alla stessa, una dalla parte superiore e l'altra dalla parte inferiore, formanti un bochetto, con due incastri nelle rispettive spalle, nei quali incastri vi sono attualmente due assi uno sopra l'altro che contengono l'acqua nella Bealera; sendo detti assi più alti del pelo dell'acqua per l'altezza d'oncie due accomunate, per mira alla seconda spalla del bochetto vi è alla distanza di pedi due dalla spalla un passone [grosso palo] infisso nell'alveo di detta Beallera, qual surmonta il pelo dell'acqua d'oncie sei circa; qual inserve a sostener un asse, qual si mette contro lo stesso e la spalla per far risaltare l'acqua e introdurla in maggior copia»; l'apertura del bocchetto è larga 26-27 once e si trova allo stesso piano dell'alveo del canale. Il fosso che ne deriva bagna i campi e i prati della cascina Calcaterra e di altri particolari. A cinque piedi dalla presa «vi è un ponte di cotto sopra il fosso, d'altezza dal suolo piedi tre e mezzo, di longhezza oncie 38 e di larghezza piedi cinque, oncie una», su cui transita la strada che percorre la sommità della ripa. (1.8)
Il secondo bocchetto. (n° 16) Risalendo il canale per 150 trabucchi si giunge al secondo bocchetto. Esso irriga un prato del cavalier Morozzo ed è descritto quale «un picol bochetto aperto nella ripa sinistra della Beallera, formato di muraglia in calcina con le sponde anche di muro, e successivo ponte pure di muraglia; l'apertura, o sia il vano del bochetto, è d'oncie sei e d'altezza oncie nove e si trova più alta del piano della Beallera d'oncie dodici».
Il secondo bocchetto bagna un prato del cavalier Morozzo dividendosi in quattro fossi paralleli. In corrispondenza ad esso la palificata che rinforza e sostiene la sponda sinistra del canale, formata da «grossi passoni et assate», si estende per oltre due trabucchi. A breve distanza si trovano il ponte della cascina Morozzo (n° 19), il secondo scaricatore del canale (n° 20) e il terzo bocchetto (n° 21). Sul ponte transita la strada che da S. Rocchetto conduce alla cascina dei fratelli Brunetti e ad altre proprietà. Al ponte converge anche da una seconda strada proveniente dal pianalto, oltreché da quella che segue la bealera, la quale da qui in poi scende dalla sommità alla scarpa della ripa.
Il ponte del Cou. Dieci trabucchi più avanti, il canale è attraversato dal ponte della cascina Morozzo, in passato detto ponte del Cou. Il manufatto è stato ricostruito durante i lavori del 1728-29. Le Testimoniali lo descrivono «formato di muraglia in calcina, con un solo arco, sotto del qualle passa l'acqua della Beallera; esso serve di continuazione et unione della strada, qual da mezzogiorno tende a mezzanotte et alla cassina degli F.lli Brunetti, et a quella del signor Cavaliere Calcaterra, et ai beni d'altri particolari; il ponte, sendosi misurato, si è ritrovato nel suo ochio, o sia vano, di larghezza trabuchi due e piedi uno, e di longhezza trabuchi uno e piedi due con i muretti laterali». La strada che lo attraversa parre ora derubricata ad importanza vicinale, come conferma altro disegno (1.9), e raggiungere soltanto la cascina del Capitolo (oggi Marchesa). La coincidenza del ponte con quello precedente la ricostruzione è testimoniata sia dalla corrispondenza della cascina Lesna con la Morozzo, sia dalla prossimità al fosso della cascina Valperga, secondo il Calcaterra sostituito dal secondo scaricatore dopo i lavori. (1.10)
Il secondo scaricatore. Dopo 5:2:6 trabucchi secondo scaricatore smaltisce le eccedenze d’acqua dovute a infiltrazioni e scoli fin qui raccolti dal canale, nonché alle precipitazioni più intense. La sua balconera (n° 20) è «formata con tre grosse colonne, cappelletto e torni, con due porte, et al di dietro della stessa un alveo, qual passa sotto due ponti d'assoni di rovere; il primo d'essi, all'incontro di detta balconera, di larghezza di piedi due, et l'altro, in distanza dal primo d'un trabucho, qual serve per l'unione, et continuazione della strada intersecata dalla Beallera»; l'apertura è pavimentata sul fondo in cotto e pietra da taglio. In prossimità della presa i lati del canale sono rivestiti di muraglia in calcina per circa due trabucchi e mezzo, e dopo il ponte sono rinforzati e sostenuti da file di robusti pali ed assi inchiodate. Il Calcaterra sostiene che in luogo dello scaricatore «vi è sempre stato un bochetto anticho, antichissimo, avanti che la Città avesse gli Molini del Martinetto, denominato, bochetto della Valperga, qual serviva per irrigazione dei prati di detto Signor Conte Valperga e di altri particolari, e mai di scaricatore». A suo dire, fino al 1746, quando fu costruito un nuovo bocchetto, una porta dello scaricatore era messa a disposizione dei particolari che utilizzavano la presa annullata con la ristrutturazione. Tuttavia le misurazioni dei periti non confermano: l'alveo dello scaricatore risulta più basso di circa quattro piedi rispetto ai prati circostanti e non poteva quindi essere usato per la loro bagnatura. Il cavaliere replica che in passato non era così, e che l'abbassamento è stato causato proprio dal fluire delle acque nello scaricatore, lamentando anche i danni provocati dall'erosione e dalle esondazioni di quest'ultimo ai terreni di sua proprietà. (1.10a)
Il terzo bocchetto. Il terzo bocchetto (n° 21) si trova a due soli trabucchi di distanza. Come si è visto, è' stato realizzato nel 1746 su indicazione del Direttore dei molini per surrogare quello precedente che dopo l'allargamento del canale era stato adibito a scaricatore, rimediando all'eccessiva dispersione d'acqua causata dall'apertura di una delle porte dello scaricatore. La nuova presa «è formata con due colonne, cappelletto, torno et una porta e con le spalle laterali di muraglia in calcina; l'apertura è di larghezza d'oncie dodeci ed d'altezza dal fondo della Beallera piedi tre liprandi». Il fosso collegato bagna i campi del cavalier Calcaterra, dei fratelli Brunetti, della Commenda dei Cavalieri di Malta e di altri proprietari, terminando quindi nel fiume; a due trabucchi di distanza il fosso è scavalcato con un ponte in muratura dalla strada a lato del canale.
Dopo il ponte, la ripa sinistra del canale «per la fuga di trabucchi 147 circa, si ritrova a surmontare il pelo dell'acqua per l'altezza di oncie quattordeci; e dalla parte verso mezzanotte si trova alta dal piano della strada piedi quattro, oncie sette; et larga piedi cinque nella scarpa verso la strada stessa». (1.11) Anche qui essa è sostenuta da una fila di grossi pali «alla riserva d'un intervallo di trabucchi 24»; alla sommità è larga 1:1 trabucchi inclusa la palizzata. Al piede la carreggiabile «di larghezza piedi quattro, va girando a seconda di detta ripa».
Il quarto bocchetto. A 147 trabucchi dal precedente, il quarto bocchetto (n° 23) è descritto quale «formato di due colonne, capelletto e torno, con una serraglia, o sia porta, e spalle di muraglia in calcina; il vano è di larghezza d'oncie quattordeci e d'altezza dal piano della solia, sino al fine delle spalle di muraglia, d'oncie ventiotto, principiando l'apertura di detto bochetto oncie quattro superiormente al suolo della Beallera». Il fosso che alimenta (n° 25) è «formato di muraglia in calcina tanto nel laterale, quanto nel sternito [fondo] di larghezza oncie quattordeci et altezza oncie ventidue accomunate, sendo di longhezza trabucchi 5:4». Alla presa è associato un articolato sottosistema irriguo costituito da una roggia parallela all'alveo principale, che si estende a monte e a valle della stessa, e dai fossi dipendenti. «In distanza piedi due dal bochetto, et inferiormente ad esso, su altro piccol ponte pure di muraglia in calcina coperto» passa la carreggiabile che costeggia il canale. (n° 27)
La roggia parallela al canale raggiunge, con ulteriori ramificazioni, il Martinetto irrigando i beni dei cavalieri An-selmetto e Calcaterra, quelli della Compagnia di S. Paolo, del sig. Bordoni e del cavalier Morozzo.
A monte della quarta presa irrigua (n°23) «per mira alle cassine delli Signori Cavagliere Morozzo, Gibellini e Cavagliere Calcaterra», tra la strada e i prati e parallelo ad essi, scorre un fosso (n° 25) «con suoi bochetti di muraglia in calcina, l'alveo quasi all'istesso piano della strada e dei beni laterali» sulle due sponde crescono un buon numero di gelsi «di grossezza d'oncie due circa in diametro, come anche piante di salici»; la sua sponda «è larga piedi cinque e mezzo circa, vacua, libera et aperta, con un sentiero battuto in mezzo».
Al ponte della cascina Calcaterra (n° 26), altri 28 trabucchi più avanti, la sponda sinistra del canale risulta ancora rinforzata e «internamente sostenuta da palificata ed assata, collegata con radici et altro ordine di passoni internati nella ripa stessa e sporgenti fuori d'essa circa la metà del di lei piano superiore»; alla sommità è larga 1:1 trabucchi e si eleva per un piede sul pelo dell'acqua e per cinque piedi e mezzo sulla roggia che scorre a lato. Sul ponte - «di larghezza di netto nel suo occhio trabuchi 2:0:6 e longhezza trab. 2:2:8» - transita la strada che dalle cascine del pianalto cala verso le basse, impegnando subito dopo un ponticello che attraversa aa roggia e misura «piedi cinque e oncie sei di longhezza». Entrambi i manufatti sono stati edificati dalla Città nel 1728-29. (1.12)
In prossimità del ponte Calcaterra la riva del canale è franata in più punti; uno dei «valancamenti occupa quasi tutto il vacuo del fosso, di modo che in tal parte va detta ripa passonata». Qui il terreno «par formare una concavità e una specie di laguna con l'acqua dentro [in cui passa] la strada». Al confine tra le proprietà Anselmeto (Anselmetti) e Calcaterra, a 32:2 trabucchi dal ponte, in passato «esisteva sopra la beallera un ponte di legno, qual inserviva ad uso dei particolari discendendo nella strada vicinale». Il ponte è riportato nel disegno seicentesco già analizzato (dove la cascina è indicata quale Cuneo) mentre in mappa rimane solo traccia della strada che conduceva ad esso. (n°29) E' probabile che il vecchio ponte sia stato sostituito quello prossimo alla cascina Calcaterra (n°26).
Percorsi altri 132:3 trabucchi, il canale raggiunge il ponte del Martinetto (n° 31), la ripa destra sempre al piede della scarpata, quella sinistra «dell'istessa quallità, larghezza, et altessa della parte superiore avanti descritta [...] tutta pallificata con forti passoni, et assate». Il ponte è realizzato in muraglia di calcina e misura «trabucchi due di lunghezza nel suo ochio e di larghezza trab. 1:2:6 con le sponde»; su di esso transita una delle carreggiabili provenienti dalla strada Colleasca.
Al Martinetto il canale ha pressoché raggiunto il bordo del pianalto e i campi lavorati quasi raggiungono la sponda destra, percorsa da «un picolo piano in forma di sentiere di larghezza accomunata piedi due; la pendenza della rippa [é] d’un trabucco circa» e «per più d'un trabuco» il canale si eleva sui prati oltre la strada che corre sotto la ripa. (1.13)
Una muraglia di 2:4:6 trabucchi collega il parapetto del ponte del Martinetto allo 'scaricatore grande' dei mulini (n° 33); la cui bocca, larga 1:1:20 trabucchi, è munita di tre porte, con torni e capelletto infissi nelle spalle formate in pietra da taglio. I mulini segnano il termine convenzionale del canale della Pellerina, che qui si ripartisce tra il canale di Torino, che prosegue verso levante e la città, e quello del Martinetto che tende a settentrione verso Valdocco e borgo Dora. (1.14)
Nelle «fabriche del Molino del Martinetto» (n° 35), la bealera muove «dalla parte destra cinque ruote da molino, et dalla parte sinistra una ruota da canapa, quali ruote servono respettivamente a cinque molini da grano, et alla pista da canapa». Al momento della visita due ruote sono ferme e risultano funzionanti solo quattro da grano. Dopo il salto, l'acqua «che discende dai camminassi [dei molini] si unisce di nuovo in un solo alveo a quella dello scaricatore grande per mira al fine circa della fabrica della Faiteria [conceria] del signor Lepinasse, (n° 37) tendendo verso mezzanotte».
L'acqua dello scaricatore ricade nell'alveo della bealera dei molini, «passando sotto altro ponte di muraglia in calcina (n°36) di larghezza trabuchi 2:3:6, e di longhezza trab. 2:2»; sopra il quale transita «la strada, qual venendo da Torino, passa tra la fabricha de Mollini e la fabricha della faiteria del signor Lepinasse, tendendo verso ponente, sempre al piede della ripa sinistra della Beallera». Tale strada «per mira del finimento del prato della Congregazione di S. Paolo si divide in due rami, uno de quali tende verso mezzanotte, tra detto prato e quello del signor Cavaliere Morozzo, [mentre] l'altro tende verso ponente, al piede della ripa sinistra della Beallera». La prima di tali strade, sappiamo da altra fonte coeva (1.15), raggiunge Lucento guadando il fiume più avanti, quando il livello delle acque lo consente. Il polo protoindustriale del Martinetto, oltre i molini e l'edifico del peso adiacente la conceria Lepinasse, comprende la «Fabrica delle Frize e Follone del sig. Conte Ceppi» (n°40), la «Fabrica del Follone del sig. Vandverich» (n°41) e la «Fabrica delle Frize e Follone della Città» (n°42).
Sulle tracce di antiche strade
Un attento lavoro di georeferenziazione, effettuato sovrapponendo le planimetrie storiche alle odierne riprese aeree zenitali, permette di ritrovare qualche traccia dell’impianto viario del XVII e XVIII secolo nelle odierne maglie stradali dei quartieri Parella e Campidoglio.
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Il ponte del Cou. Una rara, e insperata, rimanenza è costituita dal ponte che scavalca l’alveo del canale della Pellerina collegato al passaggio pedonale che dalle vie Domodossola e Simonda scende verso corso Appio Claudio e il parco Mario Carrara. E' difficile stabilire se il ponte settecentesco possa essere giunto fino a noi, seppure l'ipotesi non sia escludibile a priori e le dimensioni di quello attuale paiano compatibili. (1.16) In ogni caso, la corrispondenza della posizione dei due manufatti è conferma-
(cliccare sull'immagine per passare alla mappa)
L'antico ponte del Cou corrisponde a quello che ancor oggi si trova di fronte all'ingresso del parco Carrara, in c.so Appio Claudio. Il manufatto originario risaliva forse all'epoca medioevale.
ta. Come si è visto, dalla documentazione, sia dalla distanza che intercorre dall’imbocco del canale: i 247 trabucchi misurati nella visita settecentesca, pari a circa 760 m, trovano riscontro nei 749 m stimati su ortofoto. Ma ancor di più, i 5:2:6 trabucchi che separano il ponte e la balconera dello scaricatore settecenteschi corrispondono con buona precisione ai 17 m che intercorrono tra il ponte e la coppia di paratoie tuttora esistenti. L'architettura di tali resti - formati da colonne in pietra con traversa sommitale in ferro e due aperture – a loro volta non differisce troppo da quella descritta nelle Testimoniali.
La distanza tra la balconera del secondo scaricatore e il ponte sul canale della Pellerina conferma la coincidenza tra le strutture settecentesche e i resti attuali. Il luogo era in passato un importante croce-via; nel Seicento, sul ponte passava la strada che conduceva a Lucento unendo le sponde opposte della Dora; funzione forse già esaurita nel secolo successivo.
Foto Torino Storia
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San Rocchetto. La cappella di San Rocchetto ha costituito per secoli un riferimento significativo tra i prati, i campi e le cascine ad ovest della città e, come si è visto, un snodo stradale di rilievo. Giovanni Amedeo Grossi nel 1791 la colloca «lungo la strada di Colegno distante un miglio da Torino, sita al bivio d'altra strada, che tende alla cascina Parella». (1.17) Della chiesetta oggi non resta nulla, ma compare ancora nelle mappature ottocentesche dei catasti Gatti e Rabbini; la Pianta della Città di Torino del Piano Uni-
co Regolatore e di Ampliamento del 1906 (1.18) è forse l’ultima a riportarne la posizione, ormai ai margini dei nuovi quartieri, ormai in procinto di assorbirla, e su tale scorta l'edificio è georeferenziabile nell’area con baricentro nell’incontro delle vie Nicola Fabrizi e Carisio. (1.19)
Nulla lascia oggi immaginare la passata esistenza della piccola chiesa dedicata a San Rocco all'incrocio delle vie Nicola Fabrizi e Carisio, tra corso Lecce e corso Svizzera. La posizione è stata ottenuta. forse con un
qualche margine di errore, sovrapponendo la carta di Torino del Piano regolatore del 1906alla planimetria aerea di GoogleMaps. L'antica strada di Collegno, ossia la via Colleasca coincide per un tratto con il sedime di via Nicola Fabrizi, deviando poi verso sinistra una volta superata la cappella. Anche l'orientamento dei capannoni industriali, in basso a sinistra nelle immagini, sembrerebbe condizionato dal tracciato della antica strada.
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Le strade
'Pianta della Città di Torino del Piano Unico Regolatore e di Ampliamento' (1906) - Tracce della rete viaria settecentesca nei quartieri Parella e Campidoglio.
Fonte: ASCT, TD serie 1K14 all3 tav6 (particolare).
La strada Colleasca è quella che più ha segnato la rete viaria odierna. Senza l’ausilio della sovrapposizione cartografica sarebbe difficile riconoscerla nel tratto di via Nicola Fabrizi compreso tra corso Tassoni e via Roasio (lettera A); mentre è invece ravvisabile senza difficoltà nel serpeggiante tracciato di via Asinari di Bernezzo dopo piazza Chironi, e nella strada antica di Collegno, toponimo eloquente di per sé (B).
Il tracciato della antica strada Colleasca nei quartieri Campidoglio e Parella.
Collegno
Strada Privata Murroni
La carreggiabile che nella map-pa del Bussi, ora sappiamo, conduceva da San Rocchetto alle cascine della zona, e forse verso possibili guadi, mante-nendosi parallela ed a setten-trione di quella di Collegno, sopravvive nel tratto di via Gravere compreso tra le vie Borgomanero e Salbertrand (C) e nel breve passaggio, ortogo-
Piazza Tommaso Campanella Passaggio privato n° 23.
nale a piazza Tommaso Campanella, individuato dal passaggio privato n° 23 della stessa. (D) Sorprende infine scoprire che parte della carreggiabile che scendeva verso il canale della Pellerina, proseguendo quale strada del Cou in direzione del seicentesco Madis Cauda, si ritrova oggi nella via privata Murroni, un breve ed anonimo passaggio tra via Nicola Fabrizi e via Romagnano. (E)
Ponte del Cou
Strada Colleasca
S. Rocchetto
Tracce delle strade settecentesche, e della la strada del Cou in particolare, nel quartiere Parella.
Un'ulteriore traccia dell'antica struttura viaria la si trova, tra le vie Cibrario e Levanna, (F) nella via Colleasca. A scapito del nome, è evidente che essa non corrisponde alla strada che da Torino conduceva a Collegno, ma bensì al ramo che nel disegno del Bussi raggiungeva, dividendosi ulte-riormente, alla cascina Anselmetti e al molino del Martinetto. L'apparente anomalia toponomastica è interessante perché parrebbe suffragare l’ipotesi che il nome della "strada Colleasca" si estendesse alle sue diramazioni. (1.20)
Delle antiche ville e cascine sul terrazzo fluviale di Parella si è conservata soltanto il Gibellino, oggi residenza di pregio. Tuttavia anche la posizione di quelle scomparse aiuta ad collocare le mappature storiche nel disegno attuale della città.
L'attuale via Colleasca si sviluppa all'incirca tra i corsi Svizzera e Tassoni; essa non corrisponde all'antica strada che conduceva a Collegno, ma bensì, come si è visto, a una sua diramazione. Ciò non di meno, il tracciato ne tradisce l'anomalia nella maglia viaria del quartiere Campidoglio e la lontana origine.
Il disegno dell'architetto civile ed idraulico Ignazio Giulio, datato 20 settembre 1779, (1.21) ribadisce l'architettura del canale della Pellerina fornendo, inoltre, l'elenco degli utenti di ciascun bocchetto. La totalità delle terre è destinata a prato, la coltivazione che più beneficia delle irrigazioni in termini di produttività e resa per ettaro. D'altronde, già nelle testimoniali del 1748, il rappresentante della Città osservava che «i possessori dei beni inferiori alla Beallera hanno da qualche tempo a questa parte aumentato il numero dei prati e ridotto molti de li campi nella regione di Valdoch».
1. Brida della Bealera dei Molini del Martinetto
2. Porte dello scaricatore inserviente alla bealera
3. Balconera col chiudimento della quale tramandasi tutta l'acqua tutta l'acqua nel detto scaricatore
4. Primo bochetto di oncie 32 d'apertura
5. Secondo bochetto di oncie 9e 1/2 d'apertura
Fonte: ASCT, TD 12.1.2
6. Secondo scaricatore del canale
7. Terzo bochetto di larghezza oncie 10
8. Quarto bochetto di oncie 10 d'apertura
3. Balconera col chiudimento della quale tramandasi tutta l'acqua tuttl'acqua nel detto scaricatore
9. Scaricatore del molino del Martinetto
10. Balconera del molino
12. Imbocco del canale di Torino
Le concessioni irrigue rilasciate sono 14, per 12 utenti, poichè il cav. Calcaterra e la Commenda di Malta godono di due ciascuno.
Il canale è indicato quale "Bealera dei molini detti del Martinetto", prendendo il nome del ramo principale, che ai molini volta bruscamente a sinistra, mentre il più modesto canale di Torino procede verso l'abitato. Il quarto bocchetto (n°8) alimenta, come si è visto, un sottosistema irriguo maggiore che articolato sulla roggia tra canale la strada che costeggia entrambi.
Fonte: ASCT, TD 12.1.2
Note 1
(1.1) Il termine indica una semplice postazione di guardia, che secondo il Cibrario «erano guardiole di legno, erette sopra gli alberi, o innalzate su pali e cinte d'un fosso, il tutto a fine di specular da lunge i moti del nemico, de' quali con segni di bandiere, di fumo odi fuoco davano ragguaglio le vedette esterne alle interne, le più lontane alle più vicine». Cfr. Storia di Torino, Vol 1, G. Caula Editore, Torino, 1841 (rist. 1987), p. 366. In taluni casi però si trattava di vere e proprie torri di vedetta («torreta sive bichoca») alte circa sei metri costruite in calce e mattoni. Torri di avvistamento si ergevano nella selva di Mischie, verso S. Mauro, al ponte di Stura sul campanile di Santa Maria, al castello di Lucento, a Pozzo di Strada. Una una guardiola di legno sorgeva anche nei prati di Vanchiglia. Cfr. . M.T. Bonardi e A.A. Settia, La città e il suo territorio, in: Storia di Torino, vol. II, Torino, Einaudi Editore, 1997, p. 72 e il secondo volume della Storia di Torino del Cibrario, p. 28.
(1.2) Il canale è certamente anteriore ai diritti d’acqua concessi dagli Statuti del Conte Amedeo IV del 24 marzo 1360. La delle prima traccia documentale della bealera Colleasca, antesignana di quella della Pellerina, risale probabilmente a una concessione d'acqua del 26-06-1321 rilasciata a di Francesco Borgesio. (ASCT, CS 1869). I Diplomi citati sono quelli del 1116 e 1136 con cui gli Imperatori Enrico e Lotario concessero la sovranità alla Città di Torino. Talora l'origine del canale della Pellerina viene fatta risalire al Memoriale a capi della Città di Torino con risposte del Duca Carlo Emanuele I, del 29 marzo 1625, ma questo documento conferma soltanto privilegi d'acqua precedenti concessi dai Savoia alla Città ed ai cittadini torinesi.
(1.2a) Si veda, ad esempio, Ordinati 1580, p. 36r, 25 luglio 1580, Deputazione di Paolo costa di Balangero alla cura degli inversori della ficca e bealera della Pellerina, coll'annuo stipendio di fiorini 6.
(1.2b) Le tracce documentarie riconducono al "primo bochetto della grande bialera di Colleasca, nominato il Choo", di cui abbiamo notizia di vari affittamenti d'acqua risalenti alla seconda metà del Quattrocento, in "Descrizione dei prati e delle loro ore d’acqua e indicazione dei loro titoli dei siti nel territorio di Torino nei confini denominati alla Valdoch al Choo al Valentino e in Vanchiglia". Il nesso tra bocchetto e territorio è chiaro. Il termine Choo potrebbe derivare dal francese coin, ossia angolo; o semplicemente una forma contratta riconducibile a Collegium (Collegno). ASCT, CS 1621, CS 1899, CS 5613. (Con la collaborazione di C. Pigato). Sulla presenza dei De Madio nell'Oltredora si veda: AA.VV, Soggetti e problemi di storia della zona nord-ovest di Torino fino al 1796: Lucento e Madonna di Campagna, a cura del Laboratorio di ricerca storica sulla periferia urbana della zona nord-ovest di Torino, vol. I, Torino, Facoltà di scienze della formazione, 1997, p. 73.
(1.3) ASCT, CS 2048, 1748, Verbali degli atti di visita alla ficca Pellerina e alla bealera del Martinetto. Il termine 'Testimoniali', normalmente maschile, nel documento è usato al femminile e come tale è riportato. Salvo diversa indicazione, tutte le citazioni sono riconducibili ad esso. L'ispezione al canale della Pellerina si effettua tra l’8 e il 13 novembre del 1748 ed è condotta in seguito alle Regie Patenti del 12 luglio dello stesso anno, con cui Carlo Emanuele III incarica il Presidente Enrici “di conoscere sovra le occupazioni pretese fatte alla Città delle ripe, siti ed alberi esistenti al lungo della Bealera del Martinetto e per li Bochetti esistenti su detta Bealera”. Oltre al Regio Delegato, Senatore Francesco Enrici, partecipano il nodaro Gioanni Battista Burlotti, sostituto del causidico Bonaffide Procuratore della Città di Torino, e, tra gli attori del contenzioso, i cavalieri Carlo Filippo Morozzo e Pompeo Calcaterra, il nodaro collegiato Gioanni Lorenzo Albano (in nome della Congregazione di S. Paolo), il sig. Gioanni Paolo Chiafredo Anselmetto, i fratelli Giuseppe Casimiro e Michele Antonio Gibellino (spesso indicati quali 'Gibellini') ed il signor Conterno. Perizie e misurazioni sono affidate agli ingegneri Carlo Antonio Bussi e Vincenzo Maria Ferrero. La causa è lunga e complessa, sia per il gran numero di soggetti coinvolti, sia perché tocca altre questioni di natura proprietaria non considerate in questa sede. Le parti sono arroccate su posizioni assai distanti e la contrapposizione è molto dura, giungendo a mettere in discussione gli storici diritti esercitati dalla Città sulle acque e le funzioni stesse del canale della Pellerina. Dalle verbalizzazioni risulta, ad esempio, che secondo i fratelli Gibellini «l'acqua della Beallera, e li Bochetti son propri, et edificati, a spese comuni de particolari utenti; essendo essa semplicemente adacquatoria de prati; nei suoi lati è sempre stato, et è di presente, lecito aprire de Bochetti secondo l'esigenza de particolari, indipendentemente dalla Città, la quale per tutto il corso della Beallera, dalla imbocattura della Dora sino alli Mollini del Martinetto, non ha posseduto mai un palmo di terra, salvo per i beni del signor Demorra, dalla medesima acquistati anni sono, nei quali ha principiato a fabbricare un mulino [il riferimento è ai molini del Martinetto, ivi trasferiti nel 1707] [...] ripe, suolo, acqua e bochetti sono di, essi Particolari, possesso quieto et immemorabile». Il rappresentante della Municipalità respinge tali affermazioni, ribadendo della Città di Torino sulla traversa e sul canale, del quale i particolari utilizzano le acque solo su esplicita concessione della stessa.
(1.4) Entrambe le mappe rappresentano con dovizia di particolari la campagna torinese occidentale compresa tra borgo Dora e la Pellerina, e tra la strada di Francia e la Dora. Esso sono redatte dall’ing. Bussi nel contesto della controversia; la prima è datata 6 settembre 1748 (ASCT, CS 2051) ed è quindi anteriore al sopralluogo; la seconda (ASCT, CS 2055) porta la data del 27 gennaio 1749 e ne costituisce l'aggiornamento, effettuato su istanza delle parti dopo l'ispezione, ampliando verso il Valentino lo spazio rappresentato e aggiungendo le strade mancanti. Le correzioni apportate non sono marginali; non è dato ovviamente sapere su quali basi sia stato redatto il primo disegno, ma il confronto testimonia circa lo stato delle conoscenze cartografiche del territorio in quel tempo. Nel presente lavoro si farà ovviamente riferimento alla seconda mappatura, più completa e attendibile.
(1.5) In altra parte del documento il rappresentante della Città dichiara esplicitamente che «la strada è lasciata, e si mantiene, per servizi della Città e per condurre i materiali necessari alla ficha e allo scaricatore, come pure alla balconera, non essendovi a tal effetto alcun altra strada».
(1.6) Cfr. Gruppo Archelogico 'Ad Quintum', Frammenti di storia di Collegno, Opera Postuma di Giuseppe Gramaglia, a cura di Marisa e Manuel Torello, Borgone di Susa, Edizioni del Graffio, 2006, pag. 95-96.
(1.7) La proprietà dell'appezzamento è rivendicata dal Calcaterra, il quale sostiene sia stato separato dal campo adiacente di sua proprietà dall'alveo dello scaricatore, ma la Città contesta. E' inevitabile osservare che, per forza di cose, lo scaricatore doveva già esistere in precedenza, come conferma il disegno seicentesco, e quindi probabilmente è stato riformato anch'esso durante i lavori del 1728-29. In un Ordinato della Città del 28 maggio 1373 si rileva che dovendosi riparare la «bealeriam Pellerine nunc noviter fractam et destructam», si costruirà «unum ayvaverssum» ed è quindi probabile che lo scaricatore di presa sia aggiunto in tale occasione per limitare la pressione sulla traversa durante le piene del fiume. (ASCT, Ordinati, IV, pag. 145).
(1.8) Il bocchetto ha sostituito quello distrutto con l'allargamento del canale. Il Calcaterra ne rivendica la proprietà, come pure quella del ponte, utilizzato per raggiungere i beni propri e di altri particolari. Secondo Città invece il ponte è pubblico poiché vi passa la strada che dai molini del Martinetto raggiunge alla ficca e le opere di presa del canale; a dire del Burlotti, il cavaliere può raggiungere i sui beni per altra via, affermazione che l'interessato nega.
(1.9) ASCT, 1746, CS 2044.
(1.10) Il bocchetto e la cascina Valperga compaiono nel disegno seicentesco, ma non nelle Testimoniali del 1748; la loro precedente esistenza è confermata tuttavia da altre fonti; si vedano a tal proposito sia la «Pretesa del signor Valperga di tenere aperti alli bochetti per servirsi dell’acqua della bealera del Martinetto», riportata negli Ordinati della Città del 1685 (ASCT, pag. 93), sia l’ispezione alle bealere derivate dalla Dora del maggio del 1691 del Senatore Conte Richelmy (ASCT, CS 2000), sia la raccolta di documenti quattrocenteschi relativi a utenti e partecipanti alle bealere derivate dalla Colleasca. (ASCT, CS 1899). La cascina Valperga compare inoltre nella fondamentale Carte de la Montagne de Turin (attribuita all'incirca al 1694) e nel citato disegno del 1746 (CS 2044), che ne conferma la posizione, nella Basse, di fronte alla cascina Gibellino.
(1.10a) L'origine dello scaricatore potrebbe essere trecentesca: l'11 settembre 1373 la Congregazione, nel contesto di un intervento generale per limitare i danni causati dalle piene del fiume, (vedi anche nota 1.7) delibera la costruzione di un «avaverssus pro tutione bealerie Colleasche». Non sappiamo se si tratti dello scaricatore in questione, ma data la generale persistenza delle opere idrauliche, l'ipotesi pare plausibile. (ASCT, Ordinati, IV, pag. 145 e 178).
(1.11) Il cav. Calcaterra osserva che la palizzata interna a sostegno della ripa è stata costruita dalla Città, «stante il devastamento fatto nell'allargamento [...] quando fu intieramente devastata e tolta la rippa anticha, quale era molto più forte e sussistente della presente, per aver in quel tempo la medesima imboschita con siepi» e «nella sponda vi era d'ogni sorta di bosco», di cui si era sempre servito, come pure i propri massari, «e altri alberi d'alto fusto in numero di trecento, qualche noce, morroni, roveri et olmi, tutti immaturamente tagliati», come da memoria consegnata al fu signor Berta, Mastro di ragione della Città, nell'aprile del 1729.
(1.12) Il cavalier Calcaterra rivendica la proprietà del ponte, essendo «questo suo proprio, inserviente per andare e venire dalla sua cassina ai beni, e non altrimenti». Il manufatto ne sostituisce un altro precedente, distrutto nel corso dei lavori di allargamento, posto «in altro sito, come da Sentenza Senatoria in data delli ventinove novembre milleseicentosessantasei». Egli sostiene aver fatto «gravi spese, anzi gravissime» per aprire la nuova strada, la rampa e i due ponti, che servono non solo la cascina e i suoi beni ma anche ad altri particolari, senza aver ricevuto indennizzo.
(1.13) Secondo il Calcaterra le «sette piante d'albera d’alto fusto rimaste per mira al suo prato, oltre la strada che passa al piede della ripa, di grossezza accomunata d’oncie dodeci cadauna», testimoniano il danno subito, poiché piantate in concomitanza alle oltre trecento tagliate «immaturamente» dalla Città. Il cavalier Morozzo dichiara di aver egli stesso raggiunto qualche anno prima un accordo stragiudiziale con la Città per analoghi motivi, inerenti la proprietà della sponda sinistra del canale e il taglio illecito degli alberi su di essa. La questione si concluse «convenendo che dal signor Cavaliere si ritirassero come suoi propri, e poscia di farne una carità all’ospedale de Pazzarelli; all'istanza egli aderì ben volentieri e non volle che fossero condotti dagli agenti della Città, avendoli fatti condurre da suoi propri massari». Allargamenti delle sponde e arbitrari tagli di alberi sono denunciati anche dai fratelli Michele Antonio e Giuseppe Casimiro Gibellino, i quali lamentano inoltre «il pericolo di svalancamento e rovina della fabricha loro civile e muraglione del giardino, esistenti sovra la ripa destra della beallera» causati sempre dal taglio delle piante, nonché l’isterilimento «del suddetto ripaggio, da imboschito che era, stante la reposizione delle giarre [ghiaie], e materiali escavati nel dilatamento». Le richieste di indennizzo sono respinte categoricamente dal notaio Burlotti, rappresentante della Città.
(1.14) Il documento non fa esplicito cenno alla terminazione del canale; in esso, anzi, non compare né il suo nome, né
quello di canale di Torino, ma bensì soltanto quello, tradizionale, di canale del Martinetto. L'affermazione consolidata di tale tripartizione è successiva, ma ciò non deve stupire, stante l'incertezza e la toponomastica approssimativa delle canalizzazioni torinesi.
(1.15) Nel Tipo del corso della Dora con la bealera del Martinetto (ASCT, TD, rot. 10A, 1728) la strada è definita quale conduce «da Lusengo al Martinetto, quando la Dora è bassa». Nella carta il guado è ben visibile.
(1.16) Da misurazioni effettuate direttamente in loco, il ponte risulta lungo circa 6,40 m e largo 3,80 m (6,50 m x 4,00 m nel documento). Scontando un certo margine di approssimazione, inevitabile nella misurazione lungo una pubblica strada con strumenti non professionali, e le trasformazioni avvenute nel tempo, la correlazione tra il manufatto odierno e quello descritto nelle Testimoniali risulta plausibile.
(1.17) Giovanni Amedeo Grossi, Guida alle Cascine, e Vigne del territorio di Torino e contorni, Tomo 1, Torino, 1790-91, pag. 143.
(1.18) ASCT, TD Serie1K14 all3 tav6.
(1.19) Una via S. Rocchetto unisce oggi corso Tassoni a via Nicola Fabrizi e piazza Risorgimento. Per quanto possa forse appartenere a una trama stradale precedente, si può escludere ogni corrispondenza con l’antica strada che porta lo stesso nome. Ciò non deve stupire: ad esempio, nella mappatura ottocentesca la strada di S. Rocchetto è spesso confusa con quella antica di Collegno.
(1.20) Più avanti nelle 'Testimoniali' (punto n° 62) il rappresentante della Città di Torino definisce «strada antica che conduceva a Collegno» quella che costeggia i canali di Torino e della Pellerina. Con ogni evidenza non è così, e l'affermazione va inquadrata nelle dichiarazioni di parte; tuttavia la strada che conduce al Martinetto deriva effettivamente da quella di Collegno e le sue parole diverrebbero veritiere se il nome della via Colleasca fosse esteso a quelle da essa derivate.
(1.21) Copia dell'arch. Gioacchino Butturini data 6 maggio 1782, ASCT, TD 12.1.2. L'autore del disegno, Ignazio Antonio Giulio (1703-1817), non va confuso con il celebre professore di matematica, idraulico e membro dell'Accademia delle Scienze Caio Ignazio Giulio (1803-1859).
Fine
della nuova stesura
30-05-2022
CARATTERISTICHE DEL CANALE
Opere di presa del canale della Pellerina.
Nella mappa allegata alla Relazione Pernigotti si distinguono tre strutture di controllo provviste di paratoie mobili: una prima balconera che introduce al canale derivatore, o incile; una seconda che regola lo scaricatore ed una terza che protegge l’imbocco del canale della Pellerina vero e proprio.
Fonte: ASCT, Tipi e Disegni 12.1.50 (particolare)
Nel 1844 ficca Pellerina è descritta da Pernigotti come una "grandiosa steccaia" composta da quattro ordini di pali, lunga 171 m e larga in media 16 m, con caduta di circa 2 m. La bocca del canale si trovava sulla destra ed era la larga piedi dieci (1 piede=0,514 m). Una dozzina di metri a valle una balconata a tre luci di 1,38 m ciascuna, munita di saracinesche mobili, regolava il corpo d'acqua da immettere nel canale, stimato in 18-20 ruote. (1 ruota camerale=342 l/sec.) (2)
La diga odierna in cemento armato misura 147 m; la parte in intradosso è quasi rettilinea, mentre quella in estradosso ha raggio di curvatura di 100 m e caduta di circa 2,5 m. Il buon funzionamento e la «diligente sorveglianza» delle opere di presa sono affidate alla vigilanza di un guardiano che alloggia in una casa presso l’imbocco. Ciò comporta una spesa non indifferente per la città di Torino, ad ulteriore conferma dell’importanza attribuita alla traversa e al canale.
Canale della Pellerina - opere di presa.
Sono indicati in turchese i tratti coperti e in blu i tratti a cielo aperto. Il laghetto-piscina all'interno del parco e i canaletti adduttori e scaricatori, ora pressoché scomparsi, sono indicati in tinta sfumata.
LA TRAVERSA
DELLA PELLERINA
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Una sessantina di metri a valle della balconata completavano le strutture di presa la casa del custode e un primo scaricatore, che smaltiva eventuali eccessi d’acqua attraverso una chiavica laterale. Nei primi decenni del Novecento la traversa fu dotata di un condotto sghiaiatore e dissabbiatore che dalla spalla destra si congiungeva allo scaricatore e confluiva nella Dora circa 400 m più avanti. Controllato da quattro porte mobili, limitava il deposito di detriti a monte della diga e impediva l'insabbiamento della bocca del canale. Il volume d'acqua introdotto nel canale alla Pellerina era notevole, in condizioni favorevoli anche superiore ai 5-6.000 l/s. Tuttavia l’usuale portata era resa incerta dal regime torrentizio della Dora Riparia, soggetta a ricorrenti piene alternate a periodi anche molto lunghi di penuria d’acqua, aggravati dagli abbondanti prelievi effettuati dalle derivazioni a monte.
TRAVERSA DELLA PELLERINA
Piano regolatore canale Pellerina del 1861 Carta Tecnica del Comune di Torino (agg. 2011)
Il confronto tra le due mappe mette in evidenza la rettifica del corso della Dora avvenuta negli anni trenta del secolo scorso. Il nuovo canale sghiaitore-dissabbiatore ha ridotto la funzione dello scaricatore originario. La planimetria di destra mostra ovviamente l'assetto precedente la costruzione della centrale idroelettrica.
Fonte: ASCT, Tipi e Disegni rot.9/A 2011 (particolare) Fonte: Geoportale comune di Torino, carta scala 1:2000, tav. 045
Il canale proseguiva costeggiando la strada della Pellerina e mantenendo una pendenza inferiore a quella delle basse di Dora risaliva pian piano verso il terrazzo fluviale su cui sorge la città. A circa 1.800 dalla presa raggiungeva il molino superiore del Martinetto, nel perimetro del quale si divideva in due rami. A poche centinaia di metri dall'imbocco il canale riceveva le acque reflue dell'Edificio degli Sperimenti Idraulici, il settecentesco laboratorio sperimentale voluto da Domenico Michelotti, vanto dell'idraulca piemontese. In prossimità dell'ingresso principale del parco Mario Carrara sono ancora visibili i resti dell'incastro che regolava un secondo scaricatore. La cataratta è di origine antichissime e in un primo tempo, come si è visto, alimentava un bocchetto irriguo. Nelle mappe settecentesche compare con il nome di "scaricatore Brunetta", prendendo il nome da una vicina cascina, poi conosciuta come “cascina Polar. Dopo il 1873, il tratto finale del canale venne affiancato dal ramo destro del canale Ceronda, proveniente da nord. Quest'ultimo si manteneva sulla sinistra di quello della Pellerina - con il quale se necessario poteva effettuare uno scambio d’acqua - prima di scomparire sotto via San Donato.
OPERE DI PRESA E CANALE DELLA PELLERINA OGGI
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I progetti di copertura del canale della Pellerina risalgono agli anni Trenta del secolo scorso. L’esecuzione del Piano Regolatore avrebbe richiesto la costruzione di tanti ponti quanti sarebbero stati i nuovi corsi e le nuove vie che progressivamente avrebbero intersecato il canale. L’impresa risultava assai onerosa sul piano economico; per contro l’interramento avrebbe garantito indubbi vantaggi igienici e ambientali e reso possibile trasformare la vecchia strada della Pellerina in una moderna arteria di traffico. Tuttavia i primi interventi riguardarono gli attraversamenti dei corsi Lecce, Altacomba (Svizzera) e Tassoni per permetterne la sistemazione era parziale apertura. Nel 1925 vengono stanziati fondi per la copertura del canale della Pellerina in corrispondenza del corso Lecce (L. 72.000, comprendenti quella del parallelo ramo destro del canale Ceronda) e del corso Tassoni (L. 40.000 ). (2a) Nel 1930 si provvide all'occultamento di una sessantina di metri di canale per l'attraversamento del corso Altacomba. Il provvedimento, volto a facilitare le comunicazioni tra le borgate Campidoglio e Parella, fu sollecitato da numerosi privati e dal circolo rionale fascista Dario Pini. A tal fine viene realizzato un manufatto a piedritti in gettata cementizia con travi e soletta in cemento armato. Per i lavori si approfittò dell’asciutta primaverile del canale, ricorrendo notturno e festivo per non interrompere il flusso oltre tale periodo. (2b)
Con deliberazione podestarile del 21 marzo 1930 viene approvata la copertura del canale della Pellerina in corrispondenza del corso Altacomba. I lavori comprendono la posa in opera di una ringhiera sui due lati della copertura per la lunghezza complessiva di circa 12 m e saranno affidati alla ditta Quaranta Grisante; il prezzo al kg. è di L. 2,90 e la spesa complessiva di L. 2.800. Successivamente il corso prenderà il nome di corso Svizzera. Il contesto urbano riprodotto riprodotto nell'immagine è oggi davvero irriconoscibile.
Fonte ASCT; AA.LL.PP. 1930 633/6
Foto Giuseppe Callegari da Torino Sparita su Facebook
I cantieri per l’interramento totale del canale furono avviati solo trent'anni più tardi in concomitanza con la sistemazione del tratto iniziale di corso Appio Claudio. L’intervento fu eseguito in due tranches: nel 1959 si procedette alla copertura dell'alveo compreso tra i corsi Tassoni e Lecce, mentre per il secondo tratto fu necessario attendere il 1969. Alla fine rimasero a cielo aperto solo qualche centinaia di metri di canale dietro i parcheggi del parco Mario Carrara, peraltro anch'essi in parte ridisegnati dal tracciato. La copertura del sedime rese necessario costruire un apparato di scolmo automatico a sfioramento, tutt’ora visibile nei pressi di corso Lecce dove il canale si inabissava definitivamente nel sottosuolo, per smaltire in automatico l'acqua che l’alveo interrato non poteva assorbire. (3)
Il canale della Pellerina sopravvisse per circa quarant'anni alla fine delle ultime grandi utenze industriali che ne utilizzavano la forza dinamica. Nel 2000 è stato disattivato poiché le sue acque interferivano con la realizzazione di importanti opere pubbliche, quali il sottopasso di piazza della Repubblica e il nuovo passante ferroviario. Dopo la conclusione dei lavori relativi a tali opere però il canale della Pellerina non è stato riattivato. Oggi ne restano soltanto alcune meste vestigia. L'imbocco è stato completamente eliminato e non è più possibile immettervi acqua, ma l'incile risultava comunque insabbiato e non più utilizzabile da anni. La balconata d'ingresso sopravvive sommersa dalla vegetazione con le paratoie bloccate da uno spesso strato di fango indurito. Versano in pessimo stato anche lo scaricatore e le relative strutture di controllo, mentre dell’abitazione del custode non rimane che qualche traccia. Il sedime è stato progressivamente interrato dal naturale dilavamento causato dalle piogge e i brevi tratti scoperti, ancora attraversati da alcuni ponticelli di antica origine, sono invasi da rovi e rifiuti.
Primo tratto del canale della Pellerina nel 1924, futuro corso Appio Claudio.
Fonte: “Sincronizzando… Rivista Mensile di Elettronica e Varietà”
anno III, n. 3, 1924.
Piena del 18 maggio 2015
La natura torrentizia della Dora Riparia comporta forti variazioni di portata, sicché periodi anche prolungati di siccità si alternano a forti piene. La diga in cemento armato non teme più la violenza delle acque, ma le trasverse di pali in legno piantati nel fondo del fiume potevano subire gravi conseguenze. Più di una volta la ficca Pellerina è stata spazzata via e la sua storia potrebbe essere scritta attraverso la cronologia dei danni subiti.
Il ponte del Morozzo sul canale della Pellerina: a sinistra in una foto d'epoca, a destra ai giorni nostri sul canale asciutto. In entrambe le immagini si noti, sulla sinistra, il casotto per le misurazioni idrometriche, in passato collegato da una passerella.
FUNZIONI
Quale adduttore dei rami industriali del "canale dei mulini", il canale della Pellerina non ebbe funzioni proprie diverse dall'irrigazione di campi e prati nelle basse di Dora, dove un reticolo di rogge e fossi che facevano capo alle cascine della zona bagnava quasi 300 giornate di terra per mezzo di quattro principali bocchetti: il bochetto Marchesa (che irrigava 86 giornate di terreno), il Polar o Morozzo piccolo (36 giornate), il Morozzo grande (92 giornate) e il Calcaterra (82 giornate). (4)
La carta, che risale al 1781, riassume l'assetto territoriale della campagna che si estende tra la Dora e il terrazzo fluviale che ne sovrasta le Basse. Esso è dominato dalle grandi cascine e dagli spazi agricoli irrigati da quattro bochetti posti sulla sponda sinistra del canale della Pellerina. La cascina Marchesa esiste ancora, ma oggi è "passata" al di là del fiume a causa della rettifica del suo alveo degli anni Trenta del Novecento. La balconera dello scaricatore del Polar è tuttora visibile presso l'ingresso del parco Carrara su c.so Appio Claudio.
Fonte: ASCT, Tipi e Disegni 17.1.1
Nel tempo questi condotti furono utilizzati anche da qualche opificio rurale minore, una fabbrica di colla e alcune ghiacciaie. A tal proposito esiste traccia di una ruota idraulica situata nella cascina di Carlo Ignazio Polar, peraltro cessata entro la prima metà dell'Ottocento. (5) Le mappe del passato segnalano l'insediamento nei pressi della cascina Marchesa di una fornace, una delle tante che utilizzavano le finissime argille della zona per produrre vasellame e materiali da costruzione.
Nello spazio compreso tra il canale ed il fiume una mappatura del 1911 mostra il tracciato di due rogge provenienti dal canale della Pellerina: (6)
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la prima si stacca dal canale nei pressi della cascina Polar e si divide in tre rami diretti verso la Dora toccando le cascine Marchesa e Polar, nonché le fornaci di laterizi che lavoravano l’argilla estratta dal vicino terrazzo alluvionale.
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La seconda deriva nei pressi della cascina Morozzo, volta a nord-est e raggiunge una fabbrica di colla; attraversato in sotterranea il ramo destro del canale Ceronda, scorre fra le case a nord del Poligono di tiro, si avvicina alla Dora e ne segue l’alveo mantenendosi ad un centinaio di distanza ed infine, attraversa la strada di Circonvallazione (corso Tassoni), si scarica nel fiume dopo il ponte.
Canale della Pellerina e basse di Dora all’alba del XX secolo. L’area delimitata dal canale e dal fiume mostra spiccate caratteristiche “rurban”, dove attività agricole ed industriali coesistono. Le funzione irrigua sussiste, seppure subordinata alla priorità assegnate alle utenze industriali. La seconda roggia derivata dal canale lambisce una fabbrica di colla, forse, dotata di una ruota idraulica.
Fonte: ASCT, Collezioni X – 91
Il canale della Pellerina al Martinetto. La centrale elettrica, come testimoniano le alte torri, era alimentato a carbone per surrogate temporaneamente gli impianti idroelettrici in costruzione in Val di Susa. L'acqua del canale, spesso torbida e ricca di depositi, non era adatta ad alimentare le caldaie, ma in piccola quantità era impiegata per funzioni accessorie.
Fonte Web: Forum Torino Sparita (SkyScraperCity) e Torino Sparita su Facebook
Non risulta che il canale sia stato allacciato a impianti industriali di una qualche rilevanza. (7) Si segnala tuttavia la concessione precaria rilasciata dalla Città alla Società forze idrauliche del Moncenisio il 28 ottobre 1908 per prelevare dal canale 35 litri di acqua al secondo allo scopo di installare una batteria da scaricatore a zampillo d'acqua. La richiesta è approvata anche in virtù dell'esiguità del prelievo, che peraltro verrà integralmente restituito nel punto di presa, senza danno per gli utenti del canale. Il canone è stabilito in L. 50 annue. La Società rinuncerà alla concessione nel 1924. Ancora nel 1908, un'analoga autorizzazione è rilasciata all'Azienda Elettrica Municipale per prelevare dal canale, mediante una doppia tubazione parallela del diametro di 80 cm, l'acqua per la condensazione del vapore nella centrale elettrica civica del Martinetto, da restituirsi poi integralmente a circa 1,80 m a valle della bocca di presa. Rinnovi e nuove autorizzazioni simili a favore di apparati elettrici si sono susseguiti nel tempo, ma non per la produzione diretta di energia elettrica. Una concessione di derivazione d'acqua dal canale della Pellerina lungo corso Appio Claudio in corrispondenza della sottostazione denominata "Martinetto" è rilasciata all'ENEL ancora nel 1970. (8)
Venuti meno gli usi industriali a valle, dopo la soppressione del canale del Martinetto le acque del canale della Pellerina furono immesse integralmente nel canale di Torino e, forse, nel ramo destro del canale Ceronda, utilizzandole per il lavaggio della rete fognaria bianca. Dal 2015 il salto della Pellerina è sfruttato da una piccola centrale idroelettrica e in tale occasione l'imbocco del canale è stato murato e dichiarato ufficialmente chiuso; tuttavia il tracciato sussiste e svolge tuttora la funzione di collettore sotterraneo delle acque piovane.
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L'ACQUA NEL PARCO MARIO CARRARA
La piscina Pellerina. Con la realizzazione del primo lotto del parco Mario Carrara furono creati due laghetti alimentati dal canale della Pellerina. Nel 1955 essi furono trasformati in una piscina pubblica scoperta che incontrò immediatamente il favore dei torinesi, per i quali negli anni del boom rappresentò una delle mete “balneari” preferite. La vasca misurava circa 100 x 50 m. Essa era destinata soprattutto ai bambini e il livello dell'acqua non superava di molto il metro, sebbene in certe parti fosse più profonda. Almeno in un primo tempo era alimentata dalle fredde acque della Dora convogliate dal canale della Pellerina. Successivamente l'impianto fu affiancato e poi sostituito da uno più moderno e consono. I fossi utilizzati dalla vasca sono stati in buona parte riempiti nei primi anni Duemila, tuttavia il loro alveo ancora si intuisce e i numerosi ponticelli che li scavalcavano sono diventati parte del paesaggio del parco.
Piscina Pellerina negli anni Sessanta.
Fonte: Immagini d'epoca tratt da Torino sparita su Facebook
(foto Mario Ranzini).
EX PISCINA DELLAPELLERINA
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Ex piscina Pellerina - panoramica
Tracce di altri fossi sussistono nella parte nordoccidentale del parco Mario Carrara, verso via Pietro Cossa. Come è facile desumere dalla mappa, essi appartenessero alla rete dei fossi irrigui che circondavano la cascina Pellerina alimentati dalla bealera nuova di Lucento, in parte inglobati nel parco dopo l'ultimo ampliamento.
FOSSI IRRIGUI NELL'AREA NORDOCCIDENTALE DEL PARCO CARRARA
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