I molini di Dora della Città di Torino, i Molassi, furono di gran lunga i più importanti. Con il tempo la municipalità acquisì altri impianti per evitare agli abitanti dei territori più periferici lunghi e faticosi viaggi verso porta Palazzo. Il ruolo dei Molassi, tuttavia, non venne mai messo in discussione e rimasero i mulini torinesi per antonomasia.
Il diritto di banno, prerogativa storica della Città, obbligava i torinesi a servirsi dei mulini municipali. Ogni forma di concorrenza era proibita, e solo quando per motivi di forza maggiore questi non potevano soddisfare la domanda veniva permesso di macinare temporaneamente presso i mulini di altri comuni. Diversamente, chi lo avesse fatto in modo clandestino, se scoperto, rischiava severe sanzioni, senza eccezione alcuna. Solo il ricorso a mortai e peste manuali era consentito.
Emblematico al proposito è un episodio raccontato negli Ordinati del 1707. Nell’autunno dell’anno precedente un disastroso straripamento della Dora aveva messo fuori uso gli impianti torinesi. La Municipalità aveva allora concesso, per un mese, di far macinare i grani altrove e far rientrare le farine in città senza che alcun diritto fosse dovuto. L’Ospedale di Carità ne aveva approfittato portando 54 sacchi di grano ai molini di Villafranca Piemonte; ma le forti piogge e l’impraticabilità delle strade avevano impedito il ritorno in tempo utile del macinato, e, a proroga scaduta, i gabellieri della porta di Po avevano trattenuto quattro sacchi di farina a titolo del diritto di molitura. I Rettori dell’Ospedale si rivolgevano quindi alla Congregazione per ottenerne la restituzione, forti della «continua prova della propensione della Città di soccorrerli in ogni tempo, massime nell’angustie in quali presentemente si ritrova, supplicando di provvedervi come meglio le parerà, e le suggerirà la propria carità». (1)
Il monopolio della Città sulla produzione delle farine decadde con le liberalizzazioni economiche introdotte da Carlo Alberto, e con esso la redditività degli impianti. Con l’introduzione di nuove tecnologie di macinazione, ad alta produttività ma costoso in termini di investimento, costituì la principale causa della progressiva cessione all’imprenditoria privata dei molini municipali.
Il monopolio della Città sulla produzione delle farine decadde con le liberalizzazioni economiche introdotte da Carlo Alberto, e con esso la redditività degli impianti. Con l’introduzione di nuove tecno-logie di macinazione, ad alta prod-uttività ma costoso in termini di investimento, costituì la principale causa della progressiva cessione all’imprenditoria privata dei molini municipali.
Tra i molini periferici e minori, quelli sul Po erano natanti, ossia galleggianti: a sinistra quelli di Cavoretto. Sopra, a destra i molini della Molinetta, che come il nome lascia intuire, si trovavano nel sito oggi del maggior ospedale cittadino. Vai alla pagina
I diritti esercitati dalla Municipalità sulle acque e sugli opifici torinesi risalgono alle Lettere Patenti della duchessa Violante di Savoia del 21 giugno 1475 e saranno ribaditi in seguito più e più volte. Chiarissima e paradigmatica la loro formulazione, tra cui quella del diritto di banno, nell'istrumento con cui la Città rinnova il Giuramento di fedeltà al duca Carlo Emanuele II, e l'atto di consegnamento dei suoi beni ad esso allegato, del 22 ottobre 1674, in cui si ribadisce:
"... qualunque ragione d’acqua, discorsi d’acqua, Rippe, Rippaggi con sue fiche, che traversano tutta la Dora chiamata la fica del Boschetto, con le Case attigue alla Pista, e sito ove si giuoca all’archibuggio, ed altre ragioni appartenenti e dipendenti da esse, e Molini sudetti, con facoltà amplissima di proibire a qualsivoglia persona, tanto Ecclesiastica, che secolare, niuno eccettuato, l’edifficare, meno costruere Molini, ed ingegni sovra il finaggio, e territorio di Torino, meno andar molere, ne servirsi d’altri Molini, ed ingegni, che delli sovranominati, con facoltà alla medesima Città di costruere, ed edificare altri Molini, ed ingegni, tanto sovra la terra ferma, che altrove, e di servirsi della medesima Bealera, ed acqua, quanto sovra il fiume sudetto di Dora, e fiume Pò, durante il finaggio, e territorio di Torino, e come meglio sarà di volere della medesima Città, e questi in albergamento, e sotto il Cannone annuo perpetuo di mille cento da pagarli in data delli venti nove di Novembre mille cinquecento settantasei"
Fonte: ASCT, CS 1172
La mappa, riferita al 1839, riporta la posizione degli undici mulini municipali. I numeri riportati sono gli stessi utilizzati nella tabella qui sotto, secondo la seguente legenda: 1. molini Dora, 2. molino superiore del Martinetto, 3. molino inferiore del Martinetto, 4. molini delle catene alla Madonna del Pilone, 5. molini della Molinetta, 6. molini di Cavoretto (natanti), 7. molini della Rocca (natanti) , 8. molino di Bramafame, 9. molini di Lucento, 10. molini del Villaretto, molini di Grugliasco.
(mappa zoomabile)
Fonte: elaborazione www.icanaliditorino.it su base Google Maps
Per secoli la gestione pubblica dei mulini torinesi fu di capitale importanza: essi rappresentarono la maggiore fonte di gettito erariale della Città, la principale garanzia fornita su prestiti ed ipoteche e lo strumento fondamentale di politica annonaria, attraverso cui controllare i prezzi e garantire alla popolazione le forniture alimentari nei momenti di crisi. (2)
TITOLI DI POSSESSO DEI MULINI MUNICIPALI
MAPPA INTERATTIVA DEI MULINI DI TORINO
In seguito una decina di altri impianti affiancarono i Molassi, e le ruote da macina municipali nella prima metà dell'Ottocento sfiorarono le settanta unità. I molini di Dora rimasero però di gran lunga i principali, avendo gli altri dimensioni assai minori e un numero limitato di macine. Sparsi nel circondario torinese, essi servivano soprattutto la popolazione dei territori periferici. Quando necessario, tuttavia, sussidiavano i mulini di Porta Palazzo, ad esempio nel caso, tutt’altro che infrequente, di rottura della «ficca» Pellerina e/o del canale dei Molassi. Quelli di Cavoretto, della Rocca e delle Catene erano molini natanti, ossia galleggianti, montati su pontoni ormeggiati lungo le rive del Po. Quelli detti 'delle catene', siti alla Madonna del Pilone, vennero trasformati in mulini terragni alla fine del XVIII secolo. (3) In caso di bisogno i torinesi erano autorizzati a servirsi dei molini "forastieri" dei comuni circostanti, tra cui Moncalieri, il Drosso, S. Mauro, Gassino, Castiglione Torinese, Sambuy e altri
RUOTE INSTALLATE NEI MULINI MUNICIPALI (1839)
Alla metà dell'Ottocento la Città di Torino gestiva undici mulini da grano collocati nell'abitato e nel circondario rurale. Gli impianti avevano diverse dimensioni, ma il peso dei molini di porta Palazzo è evidente. La colonna "ruote" ne indica il numero destinato alla macina mentre la colonna a fianco il numero totale. Tutte le ruote sono del tipo "a palette", salvo diversa indicazione in nota.
Fonte: ASCT, Scritture Private 1839/29, pag. 155
Nel tempo la Città gestì i propri mulini secondo convenienza: sia in economia (ossia direttamente), sia affidandoli in appalto a mugnai privati. Solo con l’avvento di politiche economiche più liberiste, avviate da Carlo Alberto nel 1847, iniziò la dismissione degli impianti municipali. (4)
La produzione delle farine nei molini della Città nel 1758
La relazione alla Congregazione riportata negli Ordinati del 31 dicembre 1758 offre un resoconto circa le farine macinate negli otto molini municipali. Nonostante la natura spot della rilevazione - poichè relativa ad un solo anno solare – conferisca al dato un valore in parte indicativo, essa fornisce comunque interessanti notizie circa il sistema molitorio della Città.
Produzione di farine nei molini della Città nel 1758. ll dato è espresso in sacchi di cereale al netto di quanto trattenuto per diritto dai mugnai.
Fonte: ASCT, Ordinati 1758, Congregazione del 31-12-1758
PERCENTUALI DI MACINATO PER MOLINO E TIPO DI GRANO
Fonte: elaborazione www.icanaliditorino.it su base ASCT, Ordinati 1758, Congregazione del 31-12-1758
Il documento conferma il ruolo indiscusso dei mulini Dora, che hanno lavorato ben il 78% dei grani totali del periodo pur contando su una percentuale ben minore di ruote idrauliche installate. Va da sé che l’insieme gli altri sette opifici ha macinato solo il 22% del prodotto. Considerando che un altro 10% circa è stato trattato dai molini della Rocca, emerge la marginalità degli impianti restanti. E’ vero che essa potrebbe dipendere da fattori contingenti, ma la loro natura periferica e sussidiaria in ogni caso è confermata.
Per una migliore interpretazione del dato, è riportato qui sopra anche quello relativo ai mulini censiti da G. A. Grossi nella 'Guida alle cascine e vigne del territorio di Torino' del 1790. Si noti che i mulini di Dora ereano inoltre dotati di due ruote a davanoira e che il molino del Martinetto inferiore al tempo non esisteva ancora.
La relazione testimonia anche la buona condizione alimentare dei torinesi e più in generale il favorevole andamento dell'agricoltura piemontese. Quasi tutte le farine prodotte, ben il 94%, derivano dal frumento, la qualità di grano più pregiata, mentre i cereali succedanei di qualità assai minore hanno un’incidenza trascurabile. Questi ultimi sono costituiti da barbariato e meliga: il primo era una coltura mista di grano e segale (talora, di grano ed orzo) seminati sullo stesso terreno, mentre la meliga, come è noto, è la farina di mais. Entrambi questi grani sono lavorati esclusivamente negli impianti rurali, anche per le possibili valenze per l'allevamento del bestiame, mentre i molini torinesi hanno prodotto quasi solamente farine di frumento, ed i Molassi quelle soltanto.
I MOLINI MUNICIPALI NEL 1790
Per quanto concerne le vendite mensili (prezzo unitario quantità venduta) dei principali prodotti ricavati dallo sfruttamento dei Molini nel periodo 1462-1473, nonché gli incassi annuali generati, si veda l'Appendice del volume "Acque, ruote e mulini a Torino", a cura di G. Bracco et al., Torino, Archivio storico della Città di Torino, 1988, vol. 2° e le pagine 274-286 in particolare.
Molini dell'Illustrissima Città di Torino secondo la "Guida alle cascine e vigne del territorio di Torino" di G.A. Grossi (1790).
NOTE
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ASCT, Ordinati 1707, p. 72.
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A questo proposito si veda saggio di G. Bracco et al., Torino, Archivio storico della Città di Torino, 1988, vol. 1,
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A questi andrebbero aggiunti i mulini dell'Abbadia di Stura, storicamente proprietà della Mensa Arcivescovile torinese.
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Cfr. G. Bracco, I mulini torinesi , cit.
Ultimo aggiornamento 21-12-2022
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