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I Molini Dora o Molassi

I molini di Dora, detti i Molassi, per secoli furono i molini torinesi più importanti, i molini della città per antonomasia. Principale opificio cittadino e fulcro del sistema idraulico strutturato prioritariamente per fornire loro forza motrice, attorno ad essi nacque il più antico nucleo manifatturiero cittadino. Il loro sviluppo si accompagnò a quello di Torino. Raggiunsero la massima dimensione tra il XVIII e il XIX secolo, alla fine del quale furono privatizzati, dopo circa quattro secoli di proprietà e gestione municipale diretta o indiretta. Vennero dismessi nei primi anni Sessanta del Novecento e qualche vestigia, opportunamente rifunzionalizzata, sussiste tuttora.

Fig. 1 - La prima rappresenta-zione prospettica dei molini di Dora risale al disegno della città di G. Carracha del 1572. I mulini sono la semplice costruzione visibile alla es-trema destra del disegno, lambiti dal canale che li alimenta. Si raggiungono dal-la strada sulla destra che esce dalla porta Doranea (o Pala-tina), mentre quella di sinistra conduce verso il Piemonte orientale e la pianura Padana.

Fonte: G. Carracha, Agusta Taurinorum (particolare) - Bibliothèque nationale de France

Molassi di Torino (1572)

(Tutte le immagini sono ingrandibili con un click)

attestazioni

LE PRIME ATTESTAZIONI

Le origini dei molini torinesi si perdono nell'alto Medioevo. Le scarne notizie sui primi impianti provengono soprattutto dai cartari delle istituzioni religiose che ne detenevano la proprietà, come il vescovo di Torino e i grandi monasteri extraurbani (S. Solutore, S. Pietro, S. Giacomo di Stura...). E' possibile che i diritti formulati in questi documenti sulle acque della Dora e sui mulini rispondessero soprattutto a formule notarili di rito, e che ad essi non sempre corrispondessero attività materiali concrete. Tuttavia, l'esistenza degli impianti rientrava nell'ordine delle cose, poichè dalla molitura dei cereali dipendeva l'alimentazione e la sopravvivenza stessa della popolazione. Talora ai molini erano associate altre macchine idrauliche, quali gualchiere e battitoi, che indicavano l'affermarsi dei primi nuclei manifatturieri, per quanto la molitura dei cereali restasse l'attività largamente prevalente. Molini ed 'ingegni' idraulici vari erano diffusi anche nei comuni della cintura. (1)

 

Una delle più antiche attestazioni risale al 23 ottobre 1010 e riguarda un mulino per i cereali situato a nord della Dora, quindi in un sito diverso da quello dei Molassi. In tale occasione, il monastero di San Solutore, da poco fondato, riceve in dono la metà di un mulino e della sua roggia, edificati su un terreno di settantacinque tavole di superficie (pari a poco meno di 3.000 mq) che si trova presso la basilica di San Secondo. L'alimentazione attraverso un condotto molto semplice lascia supporre che l'acqua provenisse da un ramo del fiume che scorreva li vicino. Un'altra menzione di attività idrauliche si trova nella conferma dei possessi e dei privilegi dei canonici di S. Salvatore, fatta nel 1047 dall'imperatore Enrico III, i quali includono "omnen decimam tam intram quam foris eius civitatis cum molendinis et piscationibus in ipso fluvio Turia", ossia tutte le decime all'interno e all'esterno della città con i mulini e la pesca nel fiume Dora. 

Il 26 novembre 1116 il prevosto della canonica di S. Benedetto, a Torino, concede a certo Giselfredo, figlio del fu Bonfante, un 'aquale' sulla Dora e un terreno di cinquecento tavole di superficie per costruirvi almeno tre 'molendinos vel vulcatores', ricevendo in cambio la macinatura gratuita dei grani della canonica e un quarto dei raccolti. I 'vulcatores' (o 'fullatoria,' o 'paratoria'...) sono utilizzati nella follatura della lana e la fabbricazione dei feltri. D'altronde, i 'panni taurinenses' rappresentarono nei secoli XIII e IV la principale produzione tessile e il maggior settore non agricolo dell’economia cittadina. La presenza nel periodo medievale di macchine idrauliche diverse dai tradizionali molini per i cereali trova riscontro negli introiti in denaro dei mulini di Torino: sia nelle concessioni di appalto annotate come "Firme paratorium" (1290-1408), che nei "Fitti e canoni (1315-1516) di molerie, baptitoria, ressie, paratoria, molendina, tinctorie e altri ingenia". (2) Nel 1118 viene accordata all'abbazia di S. Solutore la licenza di pesca e di costruzione di mulini sul Po, da Testona alla Stura.

 

Altre notizie dell'attività idraulica torinese provengono dal contratto del 14 giugno 1195, con cui il vescovo Arduino cede in affitto per tre anni al molinaro Ottone e al figlio Giacomo i mulini, i battitoi e le gualchiere vescovili sulla Dora, forse gli stessi chiamati in seguito 'de Roqueta', con l'obbligo di restituirli nello stato in cui li hanno ricevuti. L'impegno è esteso alla "ficca", la cui presenza sottintende una certa dimensione del complesso e della portata d'acqua della derivazione che lo alimenta. (2a) Ultima traccia di un elenco non certo esaustivo, è l'accensamento di una pezza di prato fatto il 7 ottobre 1296, da Odoardo e Bartolomeo Sorcelli al cittadino torinese Giacomo Botacot, per 29 anni e per l'accensa annua di cinque soldi di Asti. (2b)  

Le prime informazioni, per quanto frammentarie, testimoniano non solo lo sfruttamento dell'energia idraulica avvenuto, a Torino, fin dall'inizio del nuovo millennio; ma anche che tale sfruttamento non avveniva direttamente sul fiume, ma lungo canalizzazioni artificiali da esso derivate per meglio controllare il flusso delle acque.

molini

I MOLINI DI DORA

Le prime notizie documentate sui dei molini torinesi risalgono ai conti dell'Amministrazione sabauda, che dal 1290 registrano le spese di gestione e di manutenzione degli impiantì idraulici.  Nel 1300 il Principe d'Acaja possedeva poco più del 20% delle quote in cui era ripartita la proprietà dei mulini Torino; partecipazione che negli anni crescerà successivi, raggiungendo la totalità nel 1411. (2c) L'ubicazione degli impianti di Dora non è nota, tuttavia la morfologia del territorio e la necessità di un dislivello sufficiente per sfruttare potenziale dinamico del canale, non lasciava molti gradi di libertà nella scelta del sito, conferendo probabilmente ai mulini di porta Palazzo una continuità localizzativa di almeno sette secoli. E’ quindi probabile che la loro posizione non si discostasse da quella storicamente affermata, fuori la porta Principalis Dextera (porta Doranea o Palatina), in posizione strategica tra la città e la Dora, nel perimetro delimitato dalle odierne vie Priocca, Fiochetto, Pisano e da corso XI Febbraio. Una conferma di questa ubicazione proviene dalla menzione «extra portam Palacii» di una «via levata molandinorum Sancti Michaelis» e una «via per quam itur prope magnam bealeriam dictorum molandinorum» contenuta nei Consegnamenti catastali del 1343 del 1363. (3

Le spese di gestione degli impianti idraulici signorili negli anni 1384-1409 contengono forse la prima descrizione dei molini di porta Palazzo. (4) Ruote e macine risultano distribuite sui due lati della bealera che li alimenta; quattro mulini, formati ognuno da una ruota ed una coppia di macine, sono collocati in sponda destra (citra duriam) ed altri tre su quella sinistra (ultra duriam); sul lato verso la città vi sono anche due battitoi, di cui uno "nuovo". Un resoconto coevo fornisce interessanti informazioni su materiali impiegati nella costruzione. Innanzitutto sui legnami: pioppo, noce, quercia, olmo, castagno e rovere per le strutture e gli impegni più gravosi (ruote e assi), corniolo, nespolo ed olmo per denti, fusi ed altre componenti delle trasmissioni. Chiodi, caviglie e la carpenteria metallica sono per lo più in ferro. Le mole, acquistate in grande quantità, provengono da Trana, Selvaggio (Giaveno), Coazze e S. Antonino. Considerando i volumi di calce, ghiaia e mattoni registrati, le murature appaiono robuste ma forse limitate; i tetti sono, almeno in parte, ricoperti da coppi. (5

E' interessante rilevare che durante tutto il periodo medievale, contrariamente a quanto accadde altrove, le macchine idrauliche torinesi, situate necessariamente al di fuori delle mura per motivi idraulico-morfologici, non sembrano aver promosso la formazione di un nucleo abitato. Dai Libri dei consegnamenti del quartiere di Porta Doranea del 1349, ossia dalle dichiarazioni catastali, risulta infatti che il terreno circostante risulta destinato all'ortofrutta, al prato irriguo e alla coltivazione della canapa, ma non si registrano abitazioni, e forse i mugnai stessi non risiedevano stabilmente presso i mulini. (5a)

Nel XV secolo la proprietà dei molini passò alla Municipalità torinese. Con lettere patenti della Duchessa Violante di Savoia del 21 giugno 1475 furono concessi in albergamento, ossia in  enfiteusi perpetua, alla Città di Torino, con «ressie, battitori, et altri ingegni et sue pertinenze» di borgo Dora, che peraltro li aveva già gestiti a più riprese in precedenza in regime di affittamento. (6) Si trattò di una cessione motivata dalla scarsa reddittività legata alle elevate spese di manutenzione. Il Comune fu abile nell’ottenere la riconferma dei diritti di banno e di moltura, nonchè del monopolio detenuto sulle attività idrauliche cittadine. La bannalità stabiliva l’obbligo assoluto, senza eccezione per alcuno, di macinare i grani presso i mulini municipali pagando una quota in natura. La conferma dei privilegi esercitati sulle acque della Dora, del Po e dei canali derivati, già sanciti dagli antichi statuti cittadini, riconosceva alla Città la facoltà esclusiva di modificare a suo piacimento il corso delle bealere e costruirne di nuove, di erigere mulini ed edifici idraulici di qualunque tipo, nonché di dare in concessione quelli esistenti. Le Patenti del 1475, riferite agli edifici «extra Portam Palays» ed ai «molendina supra Pado», furono confermate e rinnovate da Emanuele Filiberto il 1 gennaio 1566 dopo la riconquista del ducato ed il trasferimento della capitale a Torino, nonché da numerose deliberazioni dei sovrani successivi. In questo modo la Città assumeva il monopolio esercitato sulle acque discorrenti all'interno dei propri confini; prerogativa che manterrà fino alle liberalizzazioni introdotte da Carlo Alberto.

Lettere Patenti della duchessa Violante del 21 giugno 1475

Il testo latino integrale delle Lettere Patenti di albergamento dei mulini di Torino è custodito presso l'Archivio Storico del Comune di Torino (CS 2589). Ad esso è allegata la trascrizione  e sintesi ottocentesca che segue.

"Lettere Patenti date da Moncallieri, colle quali la Duchessa Violante madre e tutrice del Duca Filiberto di Savoia, enunciando che la manutenzione dei mulini di Torino ellevandosi a gran parte del loro reddito, si era deliberato pubblicato un’albergamento perpetuo di essi, e ritenuto che la maggior offerta fu fatta dalla Città di Torino, stante che detti molini prima della Città sono stati affittati al medico ducale Giò Giacomo de Strata per fiorini 400; che in seguito la Città li ebbe in affitto per fiorini 600 e che successivamente ne pago 980; e che ultimamente furono sensati al signor Claudio De Sortu per fiorini mille cinquanta, qual fitto fu dalla Città aumentato a fiorini 1075, riconoscendo ciò utile per il patrimonio ducale, a in nome del Duca suo figliolo, e dè suoi eredi e successori concesso alla Città di Torino l’albergamento perpetuo dei molini, ressie, battitoi, ed altri ingegni esistente fuori di Porta Palazzo mediante paghi l’introggio di quattro cento fiorini, ed altri cinquanta cinque fiorini a due povere donne che indicherà, e corrisponda l’annualità di mille cento fiorini. Ordinando che tutti debbano a detti molini pagare la moltura; che nessuno possa costrurre molini od altri ingegni nella Città e territorio di Torino; che la Città possa cambiare le bealere dei molini, stabilire altri molini, o altri ingegni tanto per terra quanto sul Po o sulla Dora a suo piacimento".

La cessione in forma di albergamento prevedeva quindi l'esborso da parte della Città di millecento fiorini da pagarsi ogni anno perpetuamente, la metà dei quali da pagarsi alle feste di Pasqua, e l'altra metà «al San Michele».

​Fonte: ASCT, CS 2212 cart. 129, Volumetto in cui sono descritte le sovrane concessioni... pag. 25 e G. Bracco, I mulini torinesi e la finanza comunale, in Acque, ruote e mulini, a cura di G. Bracco et al., Torino, Archivio storico della Città di Torino, 1988, vol. 2, pp. 124

Tali privilegi assicurarono un buon ritorno economico alla gestione dei molini, condotti ora in economia dalla Città (ossia gestiti direttamente), ora dati in appalto a mugnai privati. Il controllo della molitura svolgeva tre funzioni economico-amministrative strategiche: costituiva una fonte consistente e certa di entrata per le casse municipali; il reddito da essi generato era la base per garantire alla Città l’accesso al credito quale pegno per accendere mutui e contrarre prestiti; le farine accumulate per diritto di macina, riscosso in natura sul macinato, costituivano uno strumento essenziale di politica annonaria, largamente utilizzato per calmierare i prezzi e assicurare il pane alla popolazione torinese nei tempi di carestia. (7)

Molini Dora o Molassi nel 17esimo secolo

Fig. 2 - Il disegno mostra pro-babilmente la planimetria più antica dei molini Dora. Si rico-noscono sia il vasto e irrego-lare scaricatore, sia il canale, in origine indipendente da quello dei molini, che serviva alcuni opifici e in seguito la Polveriera .

Fonte: Disegno et parere fatto dal cap. Vitozzo Vitozzi sopra l'accrescimento di Torino (particolare), s.d. [fine Cinquecento] (AST, Sezione Corte)

500-600

IL CINQUECENTO E IL SEICENTO

agg. 06-03-2023

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Fig. 3 - Il disegno, anonimo, risale alla prima metà del Seicento. Il canale che alimenta i molini di Dora porta Palazzo è dotato di una propria presa collocata sul fiume poco monte, ed è rinforzato dal ramo del canale del Martinetto che scende dalla porta Susina scorrendo al piede della Fortificazione. Si notino la presenza della "affaiteria" (conceria) adiacente i molini e, per contro, l'assenza della polveriera, forse perché al momento inattiva.                                                                                          ​Fonte: ASCT, CS 1977 (particolare)

14-08-2022

Lo sviluppo di molini segue la crescita di Torino e assume rapidamente dimensioni ragguardevoli. Nei consegnamenti del 1676 la Municipalità dichiara «di possedere in albergamento, ed enfiteusi perpetuo del predetto dominio di S.A.R. le case e Molini, posti e situati fuori le Muraglie della presente Città, poco discosto da Porta Palazzo... di Ruote quattordici giranti da grano con suoi ordegni, ed ingegni, la Resiga, il Battitore, la pista da Oglio, e Canepa, il Martinetto da ferro con ogni altri Ingegni, spettanti, dipendenti, ed appartenenti ad Edificij ingegni e Molini, con la Bealera, ed alveo d’essa, qual principia, ed ha suo origine dal Fiume Dora con ogni, e qualunque ragione d’acqua, discorsi d’acqua, Rippe, Rippaggj con sue fiche, che traversano tutta la Dora e la fica chiamata del Boschetto, con le case attigue alla Pista, e sito ove si giuoca all’archibuggio, ed altre ragioni appartenenti e dipendenti da esse, e Molini sudetti». Il diritto di banno sui cereali e il monopolio su acque ed edifici idraulici si confermano essere la vera chiave di volta del rendimento degli opifici comunali, sanciti «dalla facoltà amplissima di proibire a qualsivoglia persona, tanto Ecclesiastica, che secolare, niuno eccettuato, d’edifficare, meno costruere Molini, ed ingegni sovra il finaggio, e territorio di Torino, meno andar molere, ne servirsi d’altri Molini, ed ingegni, che delli sovranominati, con facoltà alla Città di construere, ed edificare altri Molini, ed ingegni, tanto sovra la terra ferma, che altrove, e di servirsi della medesima Bealera, ed acqua, quanto sovra il fiume sudetto di Dora, e fiume Po, durante il finaggio, e territorio di Torino, e come meglio sarà di volere della medesima Città». Tali diritti risalgono alle Patenti del 21 giugno 1475 della Duchessa Violante emanate in occasione della cessione in enfiteusi perpetua dei molini stessi, in virtù del quale la Città di Torino continua  a pagaremetà a Pasqua e metà a S. Martinoil canone annuo di millecento fiorini(10

08-11-2022

Nei pressi dei molini la disponibilità d'acqua (fig. 3) ha reso possibile la formazione di un polo produttivo protoindustriale che, oltre i molini e gli "ingegni" citati, nel 1688 comprende i due filatoi idraulici da seta dei signori Galleani e Pinardi, la 'triparia', l''affaitaria', la 'beccaria', i macelli, «et altri edificij et ingegni».  (10a)

31-08-2023

La relazione del senatore e conte Camillo Luigi Richelmi del maggio 1691 rileva ulteriori sviluppi. All'interno dei molini, a valle del ponte che scavalca la bealera, «si vedono ruote dodici di Mollino, sei d’esse verso la parte di Levante, e l’altre sei verso Ponente, con li suoi canali et ordegni per voltare». Alle due partite di ruote originarie se ne è aggiunta una terza, presumibilmente attorno al 1680, collocata sullo scaricatore e quindi ortogonale ad esse; infatti: «oltre detto Ponte et à man sinistra del medesimo nella parte superiore lateralmente all’Alveo della beallera, vi resta un edifficio in cui vi sono altre sei ruote da Mollino». Lo scaricatore conserva la propria funzione, poichè  «superiormente al detto Ponte per un gran bochetto, che resta latteralmente all’Alveo di detta beallera dalla parte del detto edifficio, diviso in nove porte, sei de quali servono per dar l’acqua alli Canali che la portano per il giro delle suddette ruote e l’altre tre, quali sono di molto maggior larghezza, servono per li scaricatori ricadendo da esse l’acqua in un gran Alveo che s’introduce nel fiume Dora che discorre poco distante». Le officine delle altre macchine paiono contigue l'edificio della prima partita e affacciate su un canale proprio, in quanto «superiormente al detto ponte verso ponente vi resta nella fabrica latterale un bochetto d’una porta sola per cui si deriva l’acqua qual passando sotterraneamente serve per il giro delle ruote degli edifficij della pista da canapa, resiga, e fucina». La bealera, prima del ponte, è larga tre trabucchi e mezzo (circa 10 metri) e l’acqua scorre a undici oncie (47 cm) dai "boscami" del ponte stesso. Le ruote installate risultano quindi 21, di cui 18 da grano, ma durante l'ispezione solo 11 da grano risultano "voltanti" a causa della penuria d'acqua, mentre sotto i portici del peso e nei magazzini un grande quantità di sacchi di grano attende di essere trasformata in farina. (11

08-07-2022

Fig. 4 - La planimetria, anoni-ma e senza data, sembra pro-gettare, più che descrivere, la edificazione della terza partita di ruote dei molini. Lo scarica-tore conserva ancora la carat-teristica forma irregolare, e le funzioni accessorie (la 'resiga de boscami' e la pesta da cana-pa) sono ubicate dopo  le ruote della prima partita. Lo stoc-caggio dei sacchi di grano e di farina avviene sotto i porticati del secondo cortile. 

Fonte: ASCT, CS 2632/5

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700

IL SETTECENTO

L’ampliamento e l’ammodernamento dei molini è avvenuto senza soluzione di continuità temporale procedendo perlopiù per interventi parziali e addizioni, e solo alla fine del XVIII secolo sono stati modellati secondo una visione unitaria e razionale. Tale trasformazione si è concretizzata negli ultimi tre decenni del secolo, peraltro con significative varianti in corso d’opera, giovandosi soprattutto dei progetti degli architetti Sebastiano Riccati e Francesco Dellala di Beinasco. I principali interventi, desunti dal confronto tra le figure 4 e 5 e ben sintetizzati da quest’ultima, possono essere così riassunti: 1) le canalizzazioni interne sono state riformate e  regolarizzate; 2) il ramo scaricatore originario è stato destinato esclusivamente a fini produttivi, e in fronte alle ruote della terza partita, quindi sulla sponda esterna, sono state aggiunte le tre della quarta partita e sono state trasferite la pista da canapa e la sega idraulica, mentre il condotto che le alimentava è stato coperto e rifunzionalizzato al bypass generale dell’impianto; 3) il fabbricato della seconda partita è stato ricostruito; 4) è stato innalzato l'edificio dei nuovi magazzini e della partita dei buratti idraulici per la setacciatura meccanica delle farine; 5) all'immagazzinamento delle merci è stato riservato il piano superiore dei fabbricati, salvo gli spazi destinati alle abitazioni dei mugnai e alle funzioni di servizio, modificando un progetto del Dellala che destinava allo stoccaggio un nuovo grande edificio da costruirsi a nordest del complesso. (12

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Fig. 4a - Nella rappresentazione dell'assedio di Torino del 1706 di P. Parrocel, il complesso dei Molassi, indicato dalla freccia, si trova alla sinistra, fuori la porta settentrionale della città; sulla destra, in riva alla Dora e lontano dalle fortificazioni, è visibile il il borgo "del Ballone". Il canale che serve i Molini, il cui alveo è stato modificato dalle difese, possiede ancora una presa autonoma.

Fonte: P. Parrocel, L'assedio di Torino (particolare). Rielaborazione grafica a cura di Carla Amoretti.

Nel complesso operano quindi ben trentadue ruote idrauliche. (13) Le ventisette per la macinazione dei cereali sono organizzate in quattro ‘partite’, ossia unità produttive formate da una serie di ruote raggruppate nello stesso fabbricato, ad ognuna delle quali collegata ad un ‘palmento’, cioè una coppia di macine in pietra. Le prime tre partite sono composte, ognuna, da sette ruote parallele alimentate ‘alle reni’ più una ‘davanoira’, mentre la quarta ne ha solo tre. Ciascuna partita è affidata ad un mugnaio che alloggia, in genere, al piano sopra le macine. Alle precedenti, si aggiungono le tre ruote dei buratti e quelle della sega idraulica e della pesta da canapa. Per evitare contestazioni sulla qualità della moltura, le partite sono specializzate nella lavorazione dei diversi cereali: presumibilmente dalle prime due, e forse dalla terza, si ottengono le farine bianche di frumento, le più pregiate, mentre le restanti sono riservate ai succedanei quali la farina di meliga e il barbariato. In epoca napoleonica, con l'edificazione della grande ala dei forni del pane, i Molassi raggiungono la massima espansione; la fig. 5 ne mostra i molti spazi interni suddivisi tra cortili, porticati, tettoie, depositi, magazzini, laboratori, legnaie, stalle, scuderie, orti e abitazioni. 

Edifici, fabbriche e siti in borgo Dora tra '700 e  '800.

La "Figura geometrica degli Edifizi, Fabbriche, e Siti proprj dell'Ill.ma Città fuori di Porta Palazzo, nella regione denominata li Molassi" della Città di Torino. Redatta dall'ing. Gioacchino Butturini e datata 20 settembre 1814, sintetizza documenti precedenti, in particolare dell'arch. Sebastiano Riccati, e consente la comparazione con l'assetto dell'anno 1771. Le linee in tinta rosso chiara definiscono le demolizioni della seconda metà del 700, quelle in marrone le nuove costruzioni e quelle in rosso scuro quanto si è conservato.

Fonte: ASCT, CS 2661

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Fig. 5 - Attorno ai molini si sviluppa un'area produttiva articolata, in cui si riconoscono: la nuova fucina da ferro dei molini (1), il casamento dove i f.lli Calcagno di di li poco trasferiranno la loro conceria (2), i filatori idraulici da seta della Città Pinardi (3) e Galleani (4), la tripperia già Bardelli ed ora di Domenico Rabi (5), la tripperia di Ignazio Ceppi (6), una tintoria (7), una seconda tripperia del Rabi (8), le camere 'ad uso dei corriadori' e di 'pelleteria' (9), il cortile su cui si affacciano le molte stalle dei macellai (10), la conceria da corami di Matteo Grande con annessi l'orto (11) e la macina per la depurazione dell'oro e dell'argento (12), la 'camera delle fontane tenuta dalla lavandara affittavola' (13) con le  vicine sorgenti, due coperte e due scoperte (14) e in fronte il prato per lo 'stendaggio per la bugada' (15), la 'fabbrica per la fondita delle campane' degli eredi Mariano (16).  L'antico tiro a segno, o 'giuoco  dell'Archibuggio', con la muraglia dei bersagli, l'osteria e varie pertinenze, all'inizio dell'800 è forse in disuso, poiché la parte evidenziata in giallo e segnata con la lettera B è stata acquistata e rifabbricata ad uso proprio da Ignazio Ceppi . L'intera area è servita da un reticolo di viali, strade e vicoli, oltre i quali si estende la campagna.

Fonte: ASCT; CS 2661

I Molassi

Pianta de Molini Dora o Molassi

Fig. 5a - Il vecchio scaricatore dei molini, il cui tracciato è ancora riconoscibile nel disegno, risulta rimodellato e completamente adibito a funzioni produttive. In sponda destra sono collocate le sette ruote e la davanoira della terza partita (n° 47) e su quella opposta le tre ruote della quarta partita (n°49) seguite da quelle della pesta da canapa (n°56) e della ’resiga per li boscami’ (n°57); Il loro edificio possiede un ingresso autonomo (n° 55). Sopra i locali delle macine (n°45 e n°52) si trovano le abitazioni de ‘molinari’, e nella terza partita anche un magazzino per le farineLa segheria dispone di un deposito del legname parzialmente coperto da tettoie (n°58 e n°59); sopra l'officina è stato ricavato l’alloggio del ‘mastro da bosco’. I molini dispongono di due orti: il più piccolo, in alto a sinistra nel disegno (n°61), si  raggiunge dalla strada con  un passaggio diretto (n°60) ed è affittato a un privato; quello più grande (n°38) è assegnato al ‘Guardamagazzeno’ e le dimensioni suggeriscono il rango dell'incarico. Il nuovo fabbricato a L disegnato in marrone è destinato all'immagazzinamento di grani e farine, e ai buratti’ per la setacciatura meccanica del macinato azionati da tre grandi ruote idrauliche. I portici ‘per la riposizione delle bisache’ (n°43) si affacciano sull'ampio cortile che ha sostituito le tettoie e varie pertinenze preesistenti, nel disegno evidenziate in tinta rosso chiara. I rifacimenti hanno riguardato anche l’edificio della seconda partita di ruote (n°35), l’alloggio del ‘molinaro’ (n°36) e la scuderia adiacente con sopra il fienile (n°37). I tre forni, disegnati in nero,  costituisco una sperimentazione che anticipa il grande complesso di inizio dell'Ottocento.         

Molini Dora o Molassi - Prima e seconda partita di ruote

Fig. 5b - La prima partita di ruote (n° 32) e la seconda (n° 34) sono composte anch'esse da sette unità e una davanoira, ognuna associata ad un palmento. Il canale che in precedenza alimentava la pesta da canapa e la sega idraulica (n° 22) è stato coperto e adibito allo scarico generale dell'impianto, in sostituzione di quello originario; le paratoie di manovra si raggiungono attraverso un piccolo ponte (n° 54).

Molini Dora o Molassi a Torino

Fig. 5c - Prima dell'edificazione dei forni, l'entrata dei Molini (n° 12) si trovava nell'ala orientale, dove il portone principale dalla strada pubblica che costeggiava il muro perimetrale introduceva nel grande cortile interno 'con pozzo d'acqua' (n° 13) su cui si affacciavano le funzioni direzionali e commerciali. Nel 1814 L'ingresso risulta traslato a sud, indicato nel disegno quale semplice 'porta di entrata', con affaccio sulle attuali via Priocca e piazza Don Albera. A sinistra del carraio settecentesco vi sono l'ufficio del direttore, la segreteria, la tesoreria e l'area vendite (n° 14) e sul fondo del fabbricato i portici per la 'pesa della moltura' (n° 15) e una piccola legnaia con sopra lo 'scaldatorio per li pesatori' (n° 18). Una portineria controlla il passaggio (n° 16) proveniente dal nuovo cortile che si apre sulla sinistra ottenuto abbattendo le botteghe di un 'mastro da bosco' e di un tintore e gli alloggi affittati agli operai del vicino filatoio (n° 11; ad esso si accede attraverso la 'porta d'entrata' che si affaccia a mezzogiorno. Alla destra del portone principale si trovano la cappella dedicata a San Martino (n° 30) e i locali della direzione, con sopra l'alloggio del Guardamagazzeno (n° 29). A destra del cortile si aprono gli spazi commerciali, con la bottega della semola (n° 27) quella del 'mastro da bosco' (n° 26) e il 'portico per la riposizione delle bisache' della prima partita (n° 25), il piano superiore funge da magazzino; in fronte ad esse la ristrutturazione ha aggiunto un portico con terrazzo. I forni a oriente dei molini sono stati aggiunti nei primi anni dell'Ottocento. Dei 36 previsti ne sono stati realizzati solo 19, e in tal numero rimarranno. Il complesso è circondato su tre lati da un grande porticato interrotto solo da un fabbricato di servizio, provvisoriamente sostituito da un orto, come pure parte dello spazio dei forni. Nell'ala nord, verso il canale, è stato eliminato un 'caso da terra', mentre e il laboratorio per li boscami' (n° 64) è stato trasferiti nei molini, e vi trovano ora posto l'orto dell'assistente dei mulini, una scuderia e 'l'antica fontana detta di Santa Barbara' con pompa. (n° 65)

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Fig. 6 -  Vista in sezione della 'prima partita' dei molini di Dora, nel disegno dell'ing. Francesco Antonio Bussi del 1 aprile 1754. Le ruote idrauliche installate sono sette, del tradizionale tipo a palette in legno di rovere. Il diametro, stimato attraverso il disegno, è di circa 3 m. Le prime sei vengono alimentate 'di fianco' attraverso 'caminassi' in legno, sfruttando un salto idraulico pari a circa 2/3 del loro diametro. La settima, sulla destra, è una 'davanoira' alimentata 'di sotto' che sfrutta l'energia residua dello scarico delle altre.

Fonte: ASCT, CS 2625

Produzione dei molini di Dora


(media 1770-1779 in sacchi di farine e in percentuale)

Fonte: Volume contenente copia delle lettere, ordinati, relazione dei deputati, del conto particolare e generale ed altri conti dei redditi dei molini della Città di Torino, ed edifici ad essa aggregati per il decennio dal 1770 al 1779 (ASCT, CS 2469).

La municipalità storicamente possedeva una decina di mulini sparsi nel circondario torinese, ma quelli di Dora rimasero sempre di gran lunga i principali, rappresentando da soli ben oltre la metà del macinato annuo complessivo. Gli altri impianti avevano capacità molitoria decisamente minore e servivano in primo luogo le comunità locali, per le quali porta Palazzo risultava troppo distante da raggiungere, o fungevano da riserva quando l'acqua della Dora scarseggiava. (Vedi anche scheda: i molini di Torino)

I Molassi di Dora raramente sfruttavano il potenziale produttivo massimo, e le ruote idrauliche attive erano di norma inferiori a quelle installate, sia perché l'impiego era correlato alla domanda effettiva di farina, sia perché un certo numero unità era fisiologicamente fermo per guasto, manutenzione o riserva. In ogni caso, di rado l'acqua del canale sarebbe stata capace di portare l’impianto alla massima produttività teorica. Una rilevazione dell'ing. Brunati del 1832 rilevava una media giornaliera di circa 13 ruote attive su 26, un numero di poco superiore al minimo necessario. Stimato, infatti, il consumo medio dei torinesi pari 600 sacchi al giorno di farina, e in 50 sacchi la produzione di ciascuna palmento in ventiquattro ore di lavoro ininterrotto, per soddisfare i bisogni annonari della città era indispensabile il lavoro continuativo giornaliero di almeno 12 ruote idrauliche. (14) Fin dai tempi più remoti furono improntate a tale obiettivo le misure straordinarie di regolazione e riduzione dei prelievi d’acqua a monte della Pellerina adottate durante i periodi di siccità, peraltro con risultati alterni. In caso di emergenza il municipio poteva contare anche sul sussidio dei molini natanti di Cavoretto, della Rocca, e della Madonna del Pilone, e nei casi estremi autorizzare temporaneamente la macinazione al di fuori dei confini comunali.

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Fig. 7 - Nonostante le riforme urbanistiche abbiano eliminato quasi completamente gli antichi opifici di Porta Palazzo, è tuttavia possibile sovrapporre la planimetria primo ottocentesca del Butturini (fig. 5) alle odierne fotografie aeree zenitali.​

800

L'OTTOCENTO

Una descrizione molto dettagliata dei molini di Dora si ricava dai testimoniali di stato del 30 luglio 1845. La corposità del documento consente di riportarne solo una sintesi, rimandando all’originale per i particolari. (15)

I testimoniali di stato del 1845

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Fig. 8 - Nella planimetria allegata ai testimoniali di stato ed estimo del 1845, l'organizzazione dei Mulini non registra mutamenti radicali, fatta salva la redistribuzione delle funzioni tra alcuni locali e l’aggiunta di qualche copertura. L’ingresso avviene ora attraverso il cortile meridionale attraverso due entrate: la principale si affaccia su via Priocca (probabilmente aperta per l’occasione) e l’attuale piazza Don Albera, mentre l’altra, a nord, si apre sulla strada che costeggia il muro della quarta partita, passando il canale con un ponticello. Su via Priocca risulta traslata anche la cappella di S. Martino. Un modesto ampliamento a nord ha inglobato il piccolo orto e la scuderia preesistenti, sostituendoli con in cui viene depositato il legname più grosso. 

Fonte: ASCT, Coll. X, vol. 64 

Il complesso conserva nell’insieme l’assetto e le architetture successive alla grande ristrutturazione di fine Settecento. I fabbricati si distribuiscono attorno a tre grandi cortili, e su quello meridionale si apre ora l’ingresso principale con accesso da via Priocca. Esso è affiancato dalla nuova cappella che, frequentata anche dagli abitanti del borgo, è stata traslata qui dopo la costruzione dei forni e il conseguente venir meno della vecchia entrata pubblica. Nell’edificio dei forni il loro numero è rimasto immutato e il progetto originario non è quindi stato completato.

Le ruote motrici delle quattro partite sono collocate nei sotterranei dei rispettivi edifici, mentre il primo piano fuori terra è occupato dai magazzini e dagli alloggi del personale di più alto rango, che ha diritto a una dimora all'interno del complesso. Il secondo piano fuori terra, esistente solo negli edifici delle prime due partite e nella vecchia area dei frulloni (fig. 9) è destinato all’immagazzinamento dei grani. L’area della pesatura è rimasta invariata e si estende ai mezzanelli sovrastanti. 

L'Ispettore dei molini ricopre la carica di maggior livello, seconda solo a quella del Direttore, e di fatto ne è il dirigente operativo. Dispone quindi dell'appartamento interno più grande, composto di ben nove vani, posto al primo piano della palazzina che riunisce le funzioni di comando che si protende sul cortile sud e l'ingresso principale. Anche il grande orto dei molini, diventato un giardino di oltre 900 mq con pergolato ed alberi da frutta di vario tipo (n° 36 in mappa) è a sua disposizione. L'incarico e la funzione del Direttore sono differenti: egli appartiene all'élite municipale, e la sua competenza si estende all'intero canale dei mulini, e quindi al principale asse manifatturiero cittadino. Il suo parere, richiesto praticamente per ogni questione idraulica, è tenuto in massima considerazione dalla Congregazione e dal Consiglio comunale.

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Fig. 9 - Al primo piano fuori terra del complesso (a sinistra)  trovano posto vari magazzini e gli alloggi del personale di rango più alto: ne hanno diritto i mugnai e i respon-sabili di ‘moltura’ (o 'mottutatori') di partita, il cappellano, il guar-damagazzeni e l’Ispettore, che in ragione della posizione dispone di quello più grande. Il secondo piano fuori terra (sotto) si eleva solo su una parte dei fabbricati  ed è destinato all’immagazzinamento dei grani.

Fonte: ASCT, Coll. X, vol. 64 

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I maggiori cambiamenti riguardano le aree produttive. Le ruote idrauliche sono state ridotte a sette nelle prime tre partite, con l’eliminazione dell’ottava, la poco efficiente davanoira, mentre la quarta partita si è arricchita di due unità per la macinazione dei cereali, passando così da tre a cinque e inglobando i locali della pista da canapa, ora dismessa. Continua invece ad operare la sega idraulica dei legnami, il cui lavoro è ben giustificato dalla gran quantità di elementi e strutture in legno all’interno dello stabilimento. Come il magazzino annesso, possiede un accesso autonomo e forse lavora anche per committenti esterni; la camera superiore è assegnata al falegname.

I quattro frulloni per il setacciamento della farina installati alla fine del secolo precedente, e descritti con dovizia di particolari anche nei relativi meccanismi, sono «in parte fuori d’opera» ed i locali adibiti a magazzini dei grani, benché sussistano ancora una davanoira privata delle palette e fuori servizio, i dispositivi di controllo e di trasmissione, e due congegni più vecchi per la separazione della farina dalla crusca. Ai principali si aggiunge, inoltre, un buratto di minori dimensioni.

Lo scaricatore generale è completamente coperto; l’imbocco è regolato da «una balconera a tre incastri formata da soglia di pietra di lunghezza m 4 e larghezza m 0.37, cappelletto in pietra, tre serraglie in legno di rovere, torni ferrati con catena e bronzine in metallo»; gli organi di manovra si raggiungono attraversando il canale con una passerella in tavoloni di rovere». Il “Gran bacino”, ossia il canale all’interno dei molini, «ha il fondo coperto di una coltellata di mattoni» ed è attraversato da “passatoji” formati di lastroni in pietra, sorretti da pilastri pure in pietra. I muri perimetrali sono protetti da punte in ferro. 

La prima partita di ruote e la sega  dei legnami

Il documento e le planimetrie allegate consentono una ricostruzione particolareggiata dei molini di Dora, sebbene non tutti i dettagli tecnici siano facilmente decifrabili: i nomi di alcuni tradiscono l'origine squisitamente dialettale e la funzione di altri resta avvolta nel fascino del mistero. Si riporta di seguito una descrizione di sintesi della prima partita di ruote e della sega dei legnami, rimandando agli originali per le altre partite, comunque praticamente identiche per caratteristiche e struttura, per gli altri locali e per i dettagli.

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Fig. 10 - Pianta del locale della prima partita di ruote dei molini di Dora.

Fonte: ASCT, Coll. X, vol. 64 (particolare)

LA PRIMA PARTITA DI RUOTE

  • Il vano delle ruote della prima partita si trova nel seminterrato del relativo fabbricato e vi si accede attraverso una soglia in pietra da taglio e porte in pannelli rovere, chiuse con barra di ferro catenaccio e serratura. Un’altra «apertura d’uscio» si trova nel muro di ponente, ed una terza si apre verso la balconera. Lo stanzone ha forma leggermente trapezoidale (con base maggiore di 33.50 m, minore di 31.5 e larghezza di 7.5, secondo le misure stimate sulla planimetria) e superficie di circa 244 mq. L’areazione è affidata a 'voletti' e finestre; dotate di inferriate o graticelle di filo di ferro. Le sette coppie di macine, definite ognuna "mulino”, appoggiano su un piano di tavoloni di rovere che occupa per l'intera lunghezza il locale, largo 2.75 m e spesso 8 cm. E' sorretto da pilastrini in muratura e in pietra da taglio nell’appoggio; vi si accede per mezzo di quattro scale di otto gradini.

  • I sette palmenti hanno un’analoga struttura e li differenzia principalmente lo spessore delle «due pietre molari» che varia, secondo lo stato di usura, tra 8 e 2 ½ once. Ogni unità è dotata di una tramoggia e una cassa della farina di circa un metro cubo di capacità (misurando nella fattispecie 2 m di lunghezza per 1 di larghezza e 0.53 di altezza) realizzate in legno di pioppo; completano la dotazione lo sgabello, il ceppo e i meccanismi per il sollevamento delle macine.

  • Le trasmissioni vertono su un sistema a ruota dentata in ferro a 54 denti del diametro di 2.05 m, pignone di rovere, bronzina, palo, fusi in ferro, quattro cerchi, bussolotto e caviglia.

  • La balconera del canale della partita è formata da: soglia di m 5.11 di lunghezza per 0.58 in pietra da taglio, cappelletto costituito da tre blocchi anch’essi in pietra, sette incastri regolati da torni in rovere e metallo, e sette «ventagli di legno di rovere con due traverse, ferrate caduna di tre staffe, e catena fissa». I canali di adduzione alle ruote sono in pietra, con sponde alte circa 60 cm e larghezza media approssimativa di 60 cm, mentre la lunghezza dipende, ovviamente, dalla posizione della ruota, come pure la lunghezza degli alberi motori. I caminassi sono in legno di rovere.

 

  • Le sette ruote idrauliche misurano m 3.08 di diametro e montano 20 palmette di rovere ognuna. Completano il quadro l'elenco di elementi architettonici, basamenti e supporti in legno e in pietra, trabeazioni e componenti di carpenteria metallica, e non, di varia foggia misura e funzione.

  • Il pavimento della stanza è in mattoni posati di costa con nel mezzo una corsia di pietra da taglio. Il solaio è formato da tavole di rovere rette da travetti, pure di rovere, e grosse travi; vi sussiste, fuori servizio ma in buono stato di conservazione, «l’antico meccanismo dei tirasacchi», un sistema di sollevamento costituito da assi longitudinali e trasversali, travi di rovere, ruote dentate e congegni di manovra. L’arredo del locale annovera tavole, cavalletti e panche in pioppo e un nutrito novero di utensili, tra cui uno “stringitore”, 2 pali con uncino, 3 mazze, 24 martelli da taglio e 2 da punta, 2 taglietti da ghiaccio, un rampino, uno scalpello ed una scure di ferro, 12 pale da forno nuove ed una in cattivo stato, tre cilindri con coperchio e ’manoglie’ in ferro, un cassone di legno di pioppo, ferrato, con serratura e chiave.

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Fig. 11 - Pianta della sega dei legnami e della quarta partita.

Fonte: ASCT, Coll. X, vol. 64 (particolare)

LA SEGA DEI LEGNAMI

  • La macchina è collocata nel locale sotterraneo adiacente alla quarta partita di ruote. E' realizzata in gran parte in rovere, come il carrello e le relative guide (lunghe 10.65 m), i travettoni e i montanti, mentre il telaio della sega è in legno di noce. Il pioppo è utilizzato principalmente per porte, imposte e suppellettili. Il metallo è impiegato perlopiù per fissaggi, giunzioni, ferrature, inferriate, cuscinetti e parti dei meccanismi che regolano il movimento e l'avanzamento e della lama e la velocità rotazione della ruota idraulica. Gran parte delle trasmissioni (ruota dentata, cerchiature, cuscinetti) sono in ferro. La ruota motrice è alimentata dallo stesso canale di quelle da grano ed è descritta quale «ferrata di due cerchi», senza altra specificazione; il diametro non è indicato, ma dalla planimetria risulta decisamente minore di quello delle altre unità; l’asse di trasmissione è lungo 4.90 m, con diametro di 0.50. Il caminasso è in legno, e completato da «una cosi detta canalotta in rovere», probabilmente propria del tipo di macchina. Le sponde e il fondo del canale adduttore sono parte in pietra e in parte maggiore costituiti da tavoloni di rovere, per una lunghezza complessiva di 24 m. E' sorretto da 14 pilastri in pietra, e «in sua continuazione esiste un tratto di canale con tromba in legno inserviente di scaricatore di lunghezza m 6.75». L’impianto è valutato in mediocri condizioni, ma diverse componenti versano in cattivo stato e forse è prossimo allo smantellamento.

cessione

LA CESSIONE DEI MOLINI

Il Comune di Torino, nella seconda metà dell’Ottocento, decaduti i secolari diritti di monopolio, avviò la dismissione dei suoi mulini, inclusi gli storici Molassi di Dora. Il complesso fu diviso in due lotti: il primo comprendeva 6.704 mq di fabbricati e siti, nonché meccanismi e accessori, tra cui 42 palmenti e 18 motori idraulici di diverso tipo; il secondo riguardava i 4.916 mq dei forni. La vendita non fu facile, perché la fine del regime di monopolio ne ridusse il valore e l'avvento dei moderni mulini angloamericani a rulli li rese improvvisamente ed irrimediabilmente obsoleti. Solo nel 1883, andate deserte le aste pubbliche del 1850, 1858, 1872 e 1882, i molini furono ceduti, con trattativa privata, al sig. Alessandro Ghignone, che li acquisì in nome proprio e di una  società anonima da costituirsi per l'esercizio. La vendita fruttò alle casse municipali 580.000 lire. (16)

G.U. 4 maggio 1882 n° 106, pag. 1907 - Avviso di secondo incanto per la vendita dello Stabilimento dei molini detti di Dora o dei Molassi ed annessi locali e fabbricati dei Forni.
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Fig. 7 - La cessione dei molini di Dora è avvenuta per lotti separati: il primo, indicato in rosso nel disegno, comprendeva l'impianto di molitura, il secondo, in azzurro, il complesso dei forni.

Fonte:ASCT, Consorzio Bealere, Canali diversi 79/8.

Ruote e palmenti ai Molini di Dora

Fonte: Capitolato per la vendita all'asta pubblica dello stabilimento dei molini detti di Dora o dei Molassi ed annessi locali

e fabbricati dei forni, 1882 (ASCT, Consorzio Bealere, Canali Diversi, Molassi, 79/8).

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Fig. 11 - Nell'immagine, datata appros-simativamente al 1911, è possibile dis-tinguere chiaramente alcuni elementi dei Molassi di porta Palazzo. Allo orizzonte si ergono i gasometri delle moderne officine del gas, mentre in primo piano si trovano l'ingresso principale del complesso, con affaccio su via Priocca, e il cortile porticato fiancheggiato dagli uffici amministra-tivi. Ben visibile è anche il nuovo edificio a cinque piani che ospita gli innovativi mulini a sviluppo verticale, eretto sul terreno in  precedenza occu-pato dalla terza partita di ruote. Di fronte ad esso, sussiste il casamento a due piani della sega e delle ruote della quarta partita. Il canale dei Molassi è stato ormai coperto e quel che resta si intravede sulla sinistra del cortile, protetto da un parapetto.

Ingresso dei molini Dora o Molassi Torino
Cappella di San Martino ai Molini dora o Molassi Torino

Fig. 12 - A sinistra l'ingresso dei Molini Dora, in via Priocca n° 6.  A destra la cappella originaria di San Martino ai Molassi, dismessa dopo l'edificazione della nuova a fianco dell'entrata principale, peraltro già demolita al momento dello scatto. Nella cappella dei mulini, nel 1845, don Bosco avviò il suo primo oratorio, ma pochi mesi dopo fu costretto a trasferirsi altrove a causa delle proteste dei mugnai, che mal sopportavano gli schiamazzi dei ragazzi..​

Fonte: Capitolato di vendita dei molini  del 1882 (5)

Nel tardo 800, con l'esercizio  della Società Anonima Molini Dora, l'impianto subì radicali trasformazioni, sotto il profilo sia della forza motrice, adottando più potenti turbine, sia dell'organizzazione produttiva, con la lavorazione delle farine a ciclo verticale, detta 'all'americana'. A tal fine, nel 1886, l'edificio della terza partita venne ricostruito su cinque piani fuori terra per ospitare i nuovi molini di tipo "anglo-americano" a sviluppo verticale, modificando sensibilmente la fisionomi generale del complesso. La gestione privata assicurò il funzionamento dei molini per un'altra ottantina di anni. Essi sopravvissero a varie trasformazioni urbanistiche dell'area, ma nel secondo dopoguerra iniziò l'irreversibile declino; i vecchi ed ormai anacronistici Molassi, ormai assediati e soffocati da una selva di anonime palazzine, chiusero i battenti nei primi anni Sessanta del Novecento. L’ubicazione in un settore destinato dal "Piano di Ricostruzione" a funzione residenziale precluse ogni ipotesi di ammodernamento o riconversione. Al contempo il risanamento del borgo, reso improcrastinabile dal degrado e dalla pressione dei nuovi flussi migratori, segnò la fine del canale, di cui i molini rimanevano uno degli ultimi utilizzatori. Con la convenzione stipulata nel 1960 con il Comune la Società Immobiliare Molini Dora, ultima ragione sociale della società di gestione, rinunciava agli antichi diritti di derivazione d'acqua sul canale dei Molassi in cambio di un indennizzo di 90 milioni di lire; la municipalità cedeva inoltre gli alvei delle canalizzazioni interni allo stabilimento, ottenendo per contro il sedime necessario alla completa apertura di via Pisano, prevista già dal PRG del 1908. (17)

Torino Piano Regolatore 1868 borgo Dora Molassi

Fig. 13 - Nel disegno i Molassi mantengono ancora la loro fisionomia, ma il Piano prevede la profonda ristrutturazione dello spazio circostante. Come di consueto, però, esso ha trovato applicazione solo parziale: ad esempio, il prolungamento di via Bologna  fino a piazza Emanuele Filiberto (Piazza della Repubblica) non è avvenuto e  in fronte ai molini sarà invece  ricavata piazza Don Albera. 

Fonte: Estratto del Piano Regolatore […], 27 dicembre 1868 e successive modificazioni (RAPU)

recupero

IL RECUPERO FUNZIONALE DEI MOLASSI

I molini di Dora hanno macinato per almeno sette secoli - nello stesso luogo e senza soluzione di continuità - i grani e prodotto le farine per i torinesi, vantando così una continuità di esercizio e di localizzazione davvero rimarchevole. Dopo la chiusura, in ottemperanza ai piani edilizi, gran parte degli edifici hanno lasciato il posto a moderni e anonimi palazzi. Tuttavia alcune parti sono state conservate e costituiscono un felice esempio  di restauro funzionale.

Ex complesso dei Molassi molini Dora Torino

Fig. 14 - Nell'ala dei Molassi che ospitava i magazzini del grano ed i buratti (in basso nell'immagine) oggi opera la Direzione delle Attività Produttive della Regione Piemonte, mentre l'edificio della prima partita di ruote, in alto nell'immagine, è  sede degli Uffici Giudiziari della Procura della Repubblica di Torino. La ristrutturazione del fabbricato della terza partita, integralmente riedificato su cinque piani alla fine dell'800 e di scarso interesse architettonico, ha invece cancellato le fattezze originali. Oggi ciò che resta dei Molassi si affaccia su corso XI febbraio e via Andrea Pisano.                ​                                                                                                                                                                                                                                                    ​Fonte: Google Maps

I MOLASSI RISTRUTTURATI

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note

Note

  1. Cfr. A. Settia, Fisionomia urbanistica e inserimento nel territorio (secoli XI-XIII) in: Storia di Torino vol. 1,  Dalla preistoria al Comune medievale, a cura di G. Sergi, G. Einaudi Editore, Torino, 1997, pag. 814.  Secondo Cesare Bianchi, nel suo Porta Palazzo ed il Balon. Storia e mito, Editrice Il Punto, Torino, 1986, p. 125,  il primo molino torinese sorse sulla riva destra della Dora, all'incirca allo sbocco dell'attuale c.so Vercelli, per volere del conte Ratberto, signore di Torino, nell'827, ed in seguito, attorno al Mille, il Comune ne fece costruire un secondo poco distante, sempre sulla Dora. Il Bianchi, purtroppo, non indica la fonte delle proprie ricerche, e la notizia andrebbe, forse, presa con beneficio di inventario. A. Bocco Guarneri in Il fiume di Torino. Viaggio lungo la Dora Riparia, Città di Torino, 2010, p. 97, i primi molini da grano torinesi storicamente documentati sorgevano nell'alto medioevo sulla riva destra della Dora, dalle parti dell'attuale ponte Carpanini. Per quanto concerne le tracce dei primi molini da grano torinesi, ed in generale le prime macchine idrauliche, si veda innanzitutto il ricchissimo saggio di M. T. Bonardi, Canali e macchine idrauliche nel paesaggio suburbano, in Acque, ruote e mulini, a cura di G. Bracco et al., Torino, Archivio storico della Città di Torino, 1988, vol. 1, pp. 105 ss. 

  2. Cfr. Acque, ruote e mulini, a cura di G. Bracco et al., Torino, Archivio storico della Città di Torino, 1988, vol. I1, Appendice, soprattutto pagg. 268-273. - 2a Cfr. F. Gabotto e G.B. Barberis, Le carte dell'archivio arcivescovile di Torino fino al 1310, Tipografia Chiantore e Mascarelli, Pinerolo, 1906, p.107. 2b Cfr. AST, Sezione Corte, Scritture della città e provincia di Torino in Paesi [Inventario n. 16], Città e Provincia di Torino, Citta di Torino, M.1, fasc. 7.1. - 2c - Cfr. R. Comba, Il principe, la Città, i mulini. Finanze pubbliche e macchine idrauliche Torino nei secoli XIV e XV, e  G. Alliaud,e A Dal Verme, Le spese di gestione e manutenzione dei mulini Torino nei secoli XIV e XV, entrambi in Acque ruote e mulini... vol. 1, cit.00000000

  3. Cfr. Canali e macchine idrauliche... cit.p.109. La ' porta  palacii' corrispondeva alla porta romana 'principalis sinixtra', nota come Palatina, mentre la porta di San Michele era si apriva nelle mura in corrispondenza dell'attuale piazza della Repubblica, prendendo a sua volta il nome da una piccola e antichissima chiesa che sorgeva nei paraggi. Queste citazioni collocano indubbiamente i mulini nella posizione storica nota, che manterranno per sette secoli sfruttando il dislivello esistente in quel punto.

  4. In origine la molitura dei grani cittadini era probabilmente meno centralizzata ed affidata a più di un impianto, come lascia pensare il riferimento ai «molandina Porte Marmorie», forse collocati sul Fossato lungo, rimasti senz'acqua nel 1353, come si evince dagli  Ordinati della Città del 1 agosto di quell'anno. (Cfr. Acque, ruote e mulini, cit., p. 232).    

  5. Cfr. Acque, ruote e mulini, cit., Appendice pp. 316-318.

  6. Cfr. Acque, ruote e mulini, cit., Appendice pp. 300-312.

  7. Gli altri 'ingegni', diversi dai molini da grano, ossia ressie, battitoi e molere, erano collocati a monte dei molini, nell'area che ospiterà in seguito prima la Polveriera e poi l'Arsenale, ed erano mossi da una bealera propria, probabilmente derivata, però, da quella dei molini. Cfr. La polveriera di borgo Dora.

  8. Cfr. G. Bracco, I mulini torinesi e la finanza comunale, in Acque, ruote e mulini, a cura di G. Bracco et al., Torino, Archivio storico della Città di Torino, 1988, vol. 1, pp, p. 124 ss. Cfr: anche la Mappa dei mulini di Torino.

  9. Il termine partita indica una serie di ruote idrauliche parallele collegate ad uno o più palmenti, ossia una coppia di macine, ospitati nello stesso edificio e curati da un proprio mugnaio. Si veda meglio più avanti.

  10. Cfr. il saggio di P. Chierici, Le strutture materiali dei mulini di Dora dal tardo medioevo alle soglie dell'Ottocento, ibidem, pp. 273 e ss. -- 9a ASCT, Ordinati 1565, p. 3-4.

  11. Cfr.  ASCT, Ordinati 22 ottobre 1676 e CS 1172 - 10a. Cfr. ASCT, Ordinati 13 agosto 1688, p. 247v.

  12. Cfr.  ASCT; CS 2000, Atti di visita della Dora, e Testimoniali di stato delle beallere che dalla medesima si derivano sottoscritti dal Signor Conte Camillo Luiggi Richelmi, del 14 maggio 1691.

  13. Cfr. ASCT, CS 2632/1.

  14. Tale numero è ricavato dalla planimetria del Butturini, ma altre fonti coeve riportano numeri leggermente differenti; ad esempio secondo una planimetria del 1818 (ASCT, TD 18. 1. 1) risultano eliminate le tre ruote a davanoira e paiono particolarmente soggette a variazione le ruote degli opifici minori di servizio (pesta da canapa, 'ressia'...).

  15. Cfr. AST, Camera dei Conti, Piemonte, Feudalità, articolo 766 Atti di visita e titoli riguardanti acque, bealere, mulini e canali, § 2 Titoli riguardanti le derivazioni d'acqua dalla Dora, mazzo 2, doc. del 4 marzo 1833, Relazione dell’ing. B. Brunati sulla distribuzione delle acque della Dora dal 12 agosto a tutto il dicembre 1832.

  16. Cfr. ASCT, Collezione X, vol. 64.

  17. Cfr. ASCT, Atti Speciali, vol. 1bis, p. 384 e Atti Pubblici vol. 4, p. 23 e segg. La vendita dei molini municipali fu assai problematica. Si consideri che nella precedente asta del 1872, andata deserta, la base di partenza dei molini era stata di lire 618.000.

  18. Cfr. ASCT, Atti C.C., 14 marzo 1960, § 23, Canale dei Molassi. Soc. Imm. Molini Dora. Rinunzia ad antichi diritti di derivazione d'acqua.

Progetto Bonsignore, del 1802, per la facciata dei nuovi forni pubblici

Fonte: Acque, ruote e molini a Torino.

Per ulteriori approfondimenti si rimanda al volume 'Acque, ruote e mulini a Torino', citato nella bibliografia, ed in particolare al saggio di Patrizia Chierici 'Le strutture materiali dei mulini di Dora dal tardo medioevo alle soglie dell'800', a cui anche questa pagina si ispira.

Online dal : 22-03-2018

Ultima  modifica della pagina : 16-10-2024

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